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SPECULAZIONE

Le previsioni sul raccolto in Canada spingono in basso le quotazioni del grano duro italiano

L’ira delle associazioni agricole per le speculazioni finanziarie su un bene primario. Intanto, si avvicina la “liberazione” del grano ucraino
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La guerra del grano

Lontani, fortunatamente, i tempi della soluzione autarchica al fabbisogno di grano, l’Italia guarda all’estero, da dove nel 2021 ha importato il 60% di grano duro e tenero. Non tanto all’Ucraina, il granaio d’Europa nei cui porti sono stipati 25 milioni di tonnellate di grano che, con la mediazione di Erdogan e il possibilismo di Putin, potrebbero presto partire per i Paesi del Medio Oriente e dell’Asia, quanto al Canada e agli Usa. Proprio il Canada, con una produzione che, nella campagna 2020/2021, toccò le 5,9 milioni di tonnellate, è leader nella produzione di grano duro, fondamentale per la filiera della pasta ma molto importante anche per quella del pane. Non è un caso che l’Italia, nel 2021, abbia importato il 46% del grano duro dal Canada (l’Ucraina invece vale una quota decisamente marginale), che, con una produzione complessiva di grano che supera le 30 milioni di tonnellate (seconda solo alle 62 milioni di tonnellate degli Usa), ha un peso specifico sul mercato cerealicolo enorme. Tanto che le previsioni, decisamente ottimistiche, sul prossimo raccolto, hanno portato una repentina discesa dei prezzi del grano duro italiano sulla Borsa Merci di Bari, passati in una settimana da 565 euro alle attuali 520 euro a tonnellate.

Un crollo vertiginoso che, come sottolinea la Cia - Agricoltori Italiani, “rischia di mettere in ginocchio gli agricoltori, già vittime degli aumenti dei costi di produzione e della siccità. Il pesante deprezzamento va contro ogni logica, in un momento di stallo del mercato cerealicolo dopo il conflitto ucraino e con il prezzo della pasta aumentato del 17% (il frumento duro ne è il principale ingrediente). L’indice dei future sul grano duro alla Borsa di Chicago è schizzato dopo le notizie - fatte girare “ad arte”, secondo Cia - di presunte stime abbondanti sul prossimo raccolto in Canada. Tali stime, molto affrettate (la trebbiatura in Nord America si effettua fra tre/quattro mesi), vengono pubblicizzate al solo scopo di indurre i cerealicoltori italiani a vendere subito, con la logica conseguenza del calo dei prezzi. Le attuali quotazioni del grano duro sono ben lontane da quelle di qualche settimana fa e gli imprenditori agricoli ne reclamano, pertanto, il giusto prezzo, condizione essenziale per la copertura dei costi di produzione fortemente maggiorati”, dicono ancora gli Agricoltori Italiani, che lamentano, nel Decreto Aiuti, “la mancata proroga del credito d’imposta sul carburante. A questo si aggiunge il calo della produzione, con rese che saranno inferiori di circa il 35% alle medie degli ultimi anni: sarà difficile seminare nuovamente frumento duro in autunno”.

Della stessa idea Confagricoltura, che ha affidato a Carlo Maresca, presidente della Federazione Nazionale Cereali Alimentari, il punto di vista della Confederazione. “Le notizie, forse filtrate ad arte, di ritorni su buoni livelli di produzione in Nord America, dopo la forte contrazione dello scorso anno, hanno spinto molti agricoltori italiani a vendere velocemente, generando così un eccesso di offerta sul mercato”, spiega Maresca. “In queste ultime ore si registra una repentina discesa del prezzo del grano duro che non trova giustificazioni in una campagna di raccolta che ha fatto segnare sul territorio nazionale un calo medio di produzione di circa il 30%. Il rischio, alimentato anche dalla grande speculazione finanziaria che approfitta della crisi internazionale in corso, è che ci sia un vero e proprio crollo nel valore del grano duro, che produrrebbe effetti devastanti per l’agricoltura nazionale. Per questo - conclude Maresca - riteniamo necessario che ci sia in tutta Italia un’attenta verifica dell’andamento delle quotazioni sui diversi mercati. Dobbiamo in tutti i modi evitare che, ancora una volta, siano gli agricoltori a pagare dazio per manovre speculative che nulla hanno a che fare con uno sviluppo serio e sostenibile di un comparto strategico per l’economia italiana. Un comparto che, come tutta l’agricoltura, ha dovuto far fronte a un aumento dei costi di produzione senza precedenti e che, per evitare un tracollo, necessita della collaborazione tra tutte le parti della filiera”.

Coldiretti, infine, sottolinea come a Foggia, nel mercato più rappresentativo del Sud, ha deciso di disertare la seduta della Borsa Merci, per sventare ulteriori colpi di mano a danno dei produttori, proprio quando i prezzi del grano sono balzati a livello mondiale del 6,6%, con una decisa inversione di tendenza sotto la spinta della ripresa del dialogo tra Usa e Cina. La volontà di speculare sul prezzo del grano italiano è emersa - aggiunge Coldiretti - anche durante la seduta della Cun a Roma, dove l’ultima proposta di riduzione è stata di 35 euro per il Sud, 25 euro per il Centro e 25 euro per il Nord, rispedita al mittente dalla parte agricola.

In Italia, tra l’altro, la produzione è in calo fino al 35%-40% nelle aree più vocate come la Puglia a causa della siccità, proprio quando coltivare grano è costato agli agricoltori fino a 600 euro in più ad ettaro a causa dell’impennata dei costi di produzione dovuti all’effetto a valanga della guerra in Ucraina e dopo la crisi generata dalla pandemia Covid, che si riflette a cascata dalle sementi al gasolio fino ai fertilizzanti. Ad essere più penalizzati con i maggiori incrementi percentuali di costi correnti - continua la Coldiretti - sono state proprio le coltivazioni di cereali, dal grano all’avena, con le quotazioni in balia delle speculazioni di mercato.

La minor produzione pesa sulle aziende cerealicole, che hanno dovuto affrontare rincari delle spese di produzione che vanno dal +170% dei concimi al +129% per il gasolio, con incrementi medi dei costi correnti del 68% secondo elaborazioni Coldiretti su dati del Crea. Il taglio dei raccolti causato dall’incremento dei costi e dalla grave e perdurante siccità - sottolinea Coldiretti - rischia di aumentare ulteriormente la dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti agroalimentari, con l’Italia che è già obbligata ad importare il 64% del grano per il pane, il 44% di quello necessario per la pasta, secondo l’analisi del Centro Studi Divulga. Occorre lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione, come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali, ma è necessario investire per aumentare produzione e rese dei terreni, con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità.

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