Se è vero, come è vero, che più o meno 20 grandi denominazioni del vino italiano su oltre 500 totali, tra Dop e Igp - che, con la forza della storia e dei numeri, hanno la capacità di investire e aprire i mercati - rappresentano da sole più della metà del giro d’affari del settore, è altrettanto innegabile che buona parte del fascino del vino italiano, soprattutto tra gli appassionati più esperti, sia rappresentato da quella miriade di piccole denominazioni che, pur di dimensioni ridotte, sono capaci di raccontare storie, identità e territori. Realtà che spesso vivono fasi altalenanti di crescita o regressione, negli anni, ma che impreziosiscono a loro modo l’offerta enoica del Belpaese.
Come l’Erbaluce di Caluso, Docg nel territorio del Canavese, in Piemonte, frutto di un vitigno, l’Erbaluce, le cui prime testimonianze scritte risalgono al Seicento, quando viene menzionato in un libro di Giovan Battista Croce, gioielliere del duca Carlo Emanuele I. Ed il cui nome, Erbaluce, secondo la tradizione deriva dal colore che assumono gli acini in autunno, ma c’è anche una versione legata ad una leggenda. Che vuole che le terre del canavese fossero abitate un tempo da ninfe e dei e che due fra questi, l’Alba e il Sole, fossero innamorati, ma condannati a non potersi incontrare. Fu un eclisse di Luna a concedere loro un fugace incontro dal quale nacque la ninfa Albaluce, ninfa talmente bella da portare l’uomo a donarle ogni cosa pur di riceverne i favori, fino a trasformare in deserto quelle colline. Addolorata Albaluce pianse e dalle sue lacrime spuntarono tralci di vite dall’uva dolce e bianca: era l’Erbaluce.
Ma al di là di suggestioni e leggende, oggi, questa piccola ma storica denominazione (prima Doc di vini bianchi del Piemonte, dal 1967, e Docg dal 2010), racconta una storia di rinascita che simboleggia la riscossa di tanti piccoli territori. Nel 2000, erano appena 128 i vigneti rivendicati ad Erbaluce di Caluso Docg, mentre nel 220 si arrivati a quota 227, con una crescita del +77% in 20 anni. I produttori di uva, grosso modo, sono gli stessi: 281 nel 2000, 288 nel 2002 (dopo un picco di 333 nel 2009, ndr), con una filiera finalizzata da 39 vinificatori e 35 imbottigliatori, ma è cresciuta nettamente la produzione di uva (da 10.380 quintali nel 2000 a 16.520 nel 2020) e il numero di bottiglie potenziali (passate da 968.800 a più di 1,5 milioni), con un valore dell’imbottigliato stimabile in 10 milioni di euro.
Numeri (presentati nei giorni scorsi, nell’Erbaluce Day, evento firmato da Cascine Piemontesi - Confagricoltura, Confagricoltura Torino e dal Consorzio Vini Docg di Caluso e Doc di Carema e Canavese) che raccontano la riscossa di territorio avvenuta in modo peculiare, come spiega, a WineNews, Ercole Zuccaro, direttore Confagricoltura Piemonte. “Ci sono poche aziende storiche che hanno sapute tenere duro, ma hanno sempre creduto in questo vino ed in questo territorio, ci sono le cooperative, che si sono rafforzate, e hanno consolidato la loro presenza sui mercati partendo da un miglioramento qualitativo che è stato significativo, e c’è un gruppo di giovani vignaioli canavesani - spiega Zuccaro - che hanno riscoperto questo vitigno, stanno recuperando i vigneti, e lo stanno facendo nel rispetto del territorio, dell’ambiente e del paesaggio, andando a mantenere alcune condizioni importanti, come il recupero dei muretti a secco, per esempio”. Inoltre, aggiunge ancora Zuccaro, quella in cui nasce l’Erbaluce di Caluso “è una zona interessante anche dal punto di vista turistico. C’è la bellezza di questa grande collina morenica che forma un anfiteatro naturale, la zona dei “cinque laghi” di Ivrea e di altri due laghi, quello di Viverone e quello di Candia, che attirano un buon turismo estivo, anche dall’estero, e grazie soprattutto alle aziende più giovani si sta sviluppando l’enoturismo, che è una risorsa sempre più importante”. Alla base di questa rinascita dell’Erbaluce, però, c’è anche, o soprattutto, una riscossa enologica. “C’è stato un forte miglioramento sulla tipologia ferma, e anche sul Passito, che è il vino forse più famoso, ma da qualche anno - aggiunge Zuccaro - sta avendo un grande successo anche lo spumante metodo classico che nasce dall’Erbaluce. Quasi tutte le aziende fanno dei prodotti affinati almeno 24 mesi sui lieviti, ma spesso si arriva anche a 36, dando vita a prodotti sempre più interessanti e riconoscibili, che hanno un buon riscontro”.
Il mercato dell’Erbaluce, di conseguenza, vive una fase positiva, con una crescita delle vendite in Piemonte, in Lombardia ed in Liguria, ma con aperture interessanti all’export, soprattutto in Usa e nel Nord Europa. “E un’altra cosa interessante - conclude Zuccaro - è che si sta recuperando un po’ di valore fondiario. Ovviamente siamo ben lontani dai valori di altri territori piemontesi e italiani, diciamo che si va in una forbice tra 28.000 ed i 40.000 euro ad ettaro. Ma sono valori appetibili per chi vuol fare impresa, e infatti negli ultimi tempi ci sono tanti imprenditori di altri settori che hanno investito sull’Erbaluce di Caluso, recuperando aziende, e si registra un’interesse crescente da parte di produttori di altri territori, in particolare da Alba e dalle Langhe”. Che stanno iniziando a mettere gli occhi sui questo piccolo ma storico territorio, che, come tante altre piccole perle del Piemonte del vino, dal Gattinara al Timorasso, per esempio, sta vivendo una nuova era.
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