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L’espresso

La forza del vino ... Dici Piemonte e non puoi non pensare al vino e a tutto il mondo che intorno al vino gira, dalla cantina agli alberghi, dai ristoranti alle fabbriche di macchinari. Perché, al di là della suggestione evocata da nomi come Langhe, Barolo, tartufi eccetera, c’è una realtà fatta di uomini, aziende e numeri che dà un contributo decisivo all’economia non solo della regione ma dell’italia tutta. I numeri dicono, innanzitutto, che il vigneto Piemonte con i suoi 47 mila ettari rappresenta più o meno il 7 per cento del vigneto italiano e dà poco meno del 6 per cento della produzione di vino nazionale, pur se il 2011 ha registrato un calo del 12 per cento rispetto al 2010, come conseguenza del picco storico negativo toccato appunto dalla vendemmia 2011. Con i vini delle sue 60 denominazioni protette (18 Docg e 42 Doc), che rappresentano l’85 per cento della produzione regionale, l’export è salito nel 2010 a 1.176 milioni di euro, pari a oltre il 15 per cento delle esportazioni vitivinicole nazionali e a un terzo dell’intero export della regione. I dati definitivi del 201 1 non sono ancora disponibili ma il trcnd positivo si è confermato: ormai almeno il 60 per cento del vino piemontese prende la strada dell’estero e rappresenta un quinto delle esportazioni italiane di vino nel mondo. Tirano la volata l’Asti e il Moscato d’Asti, i cui volumi compensano in qualche modo i bassi prezzi e tengono le posizioni con una certa fatica i gioielli, Barolo e Barbaresco, il cui prestigio cresce e si consolida nella fascia alta dei consumi anche in considerazione dei prezzi ragionevoli che conservano rispetto ad altri top wines, soprattutto francesi. Il principale partner commerciale, con largo distacco sugli altri Paesi, resta la Germania, seguita dal Regno Unito, dagli Stati Uniti, dalla Francia e dal mercato scandinavo, mentre la Russia dimostra di apprezzare soprattutto il Moscato e l’Asti, per i quali è diventata il quarto mercato, Che l’export sia una strada obbligata per la stragrande maggioranza delle aziende vitivinicole piemontesi d’altronde non è più notizia: il mercato interno è fermo, il consumo medio di vino pro capite continua a calare, e anche le aziende più piccole e meno strutturate hanno dovuto ampliare i propri orizzonti verso un mercato globale che non è più visto come lontano ed estraneo ma come sbocco obbligato. “Bisogna guardare oltre i numeri, non riesco a dichiararmi ottimista”, dice tuttavia Bruno Ceretto, leader della storica casa albese: “Una dozzina d’anni fa si produceva la metà del Barolo e del Barbaresco che sono prodotti oggi, ma i fatturati delle aziende non solo non sono raddoppiati ma i margini si fanno sempre più risicati. Che cosa vuoi dire? Che il mercato assorbe a prezzi sempre meno remunerati vi per le aziende vini di quaiitù inferiore. Stiamo poi pagando le conseguenze della mancanza di una strategia comune di promozione. che è anche conseguenza dell’inguaribile individualismo delle nostre aziende, in gran parte piccole e piccolissime, cui tuttavia mancano stimoli e opportunità concrete per aggregarsi e far sistema”. Più ottimista Piero Quadrumolo, direttore generale dì un’impresa modello come Terre da Vino, che con 5 mila ettari di vigneto appartenenti a 2.500 viticultori e con una produzione che copre praticamente tutte le denominazioni piemontesi più significative. Nel 2001 ha messo a segno il miglior fatturato di sempre, cavalcando l’onda favorevole del Barolo e dei Moscato, “Tutto è oggi più difficile, ma credo che la via imboccata sia quella giusta. L’impegno vero non sta tanto nell’ampliare i mercati, quanto nel consolidare le posizioni conquistate e ciò può avvenire non tanto operando sulla leva dei prezzi, quanto puntando sull’identità e sulla qualità dei vini che meglio ci rappresentano, senza per questo abbandonare le denominazioni, come barbera e dolcetto, o le aree, come l’Alessandrino e l’Astigiano, che più delle Langhe patiscono per essere costrette a lavorare di fatto senza margini, quando non addirittura al di sotto dei costi di produzione”, osserva l’imprenditore. In effetti, è sempre più aspra la competizione su tutti i mercati, per la presenza di nuovi concorrenti disposti a combattere a suon di riduzioni di prezzi anche sotto limiti imposti dall’esigenza di salvaguardare accettabili livelli di qualità. Eppure la realtà, il contesto produttivo, l’ambiente e la storia rappresentano asset più che appetibili, come dimostra anche la clamorosa acquisizione del 70 per cento della Casa Gancia messa a segno alla fine dell’anno scorso dal russo Roustan Tariko, proprietario della Russian Standard Bank e della vodka che porta lo stesso nome.

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