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L’espresso

Metti un quadro del vigneto ... Installazioni, giochi cromatici, sculture. Al Castello di Ama, nel Chianti, le opere dei grandi artisti spuntano tra i filari ... Per esser bello è bello. “Però è tutto grigio!”. Il villaggio di Ama s’intende, piccolo borgo di pietra tra le colline che girano intorno a Gaiole in Chianti, 500 metri sul livello del mare e su terrazze di viti. Paesaggio intatto: tale e quale al fondo di un affresco senese. Qualcuno dice che l’abbia detto appena arrivato. Ma anche se non lo ha detto, sicuramente lo ha pensato Pascale Marthine Tayuo mettendo piede nel Castello di Ama, azienda divini d’eccellenza tenuta da Lorenza Sebasti e Marco Pallante. “Troppo grigio”, si è detto camminando lungo il sentiero lastricato di arenaria, il più esplosivo, eclettico inventivo e politico artista africano vivente (è nato in Camerun nel 1967). Quindi ha sentito il bisogno di metterci un po’ di colore in quella grisaglia toscana. Un viottolo arlecchino per indirizzare i passi verso una delle più eccentriche collezioni d’arte e di artisti, fatta di installazioni e costruzioni conservate (o meglio nascoste) tra botti, cantine e odor di mosto. Posto strano, che merita il sortilegio di un “Chemin de bonheur”, fucsia, acquamarina, amaranto, zafferano, magenta, indaco, dipinto da Pascale Marthine con impeto matissiano e barattoli di vernice più gialli dei gialli, più blu dei blu. Eccolo nella foto
l’uomo esuberante dai capelli rasta, corpo imponente, risata piena. Dodicesimo protagonista di una serie che nome dopo nome, progetto dopo progetto ha tra sformato un’azienda vinicola in un punto di riferimento per la comunità artistica. Da dodici anni ogni anno dopo la vendemmia si fa una festa, si brinda, si alza il sipario su un’altra sorpresa nascosta in cantina o sotto un olmo.
Cominciò Pistoletto con un tronco di rovere (omaggio alla botte) spaccato da uno specchio (omaggio al suo segno indelebile). Lorenza e Marco lo conobbero grazie alla Galleria Continua. Mario, Maurizio, Lorenzo, i cosiddetti “Ragazzi della Continua” (diciamo ex, crescono pure loro). Una Galleria con sede a San Gimignano (ma ne hanno anche una in Francia e un’altra a Pechino) che, fermo restando il business, vive l’arte come una tribù, le mostre come festa, gli artisti come amici, i collezionisti come compagni di strada. Da lì arriva ad Ama, anche Daniel Buren che girando tra casa padrona- le e cantine, tra esterno e interno puntò lo sguardo su un prato all’inglese: a suo parere troppo verde e troppo pettinato per un borgo toscano. E con una parete di specchio e aperture su quelle colline degne di Simone Martini, lo stravolge e lo trasforma in teatro. Anish Kapoor invece voleva imprigionare un arcobaleno in un vecchio pozzo. “Si può fare”,spiegava ai proprietari e spediva da Londra disegni di macchinari ingegneristici per produzione di vapori e rifrazione di luce, da installare previo scavo di decine di metri cubi di terra . Tecnicamente si può, è vero, ma non lì, dove la terra è memoria. Allora, non riuscendo a convincere la sovrintendenza della necessità di un arcobaleno nel pozzo in mezzo al Chianti, portò un pozzo di luce rossa e vibrante nella vecchia cappellina sconsacrata. Momento mistico, un’aureola caduta sul pavimento di vecchio cotto. Forse quella degli angeli alla tavola di Ilya&Emilia Kahakov, che in un capanno tra i vitigni hanno messo in scena un santo desco. Si può passeggiare fin lì o spiano da lontano con un cannocchiale nel cortile della casa questo tableau di marionette dove una coppia vestita di nero e due angeliche e bianche creature si dividono il pane. Apparizione degna di una predella quattrocentesca. Quelle dove si narrano i miracoli semplici e contadini di un dipingere toscano umano e razionale che non conosce gerarchie fra santi e uomini. li Castello di Ama fa bene agli artisti. Li riporta ai tempi in cui il lavoro nasceva dal luogo, nel luogo e per il luogo. “Noi non compriamo opere, noi chiediamo di venire a lavorare qui”, dice Lorenza. E loro arrivano. Nedko Solakov con l’inchiostro nero a macchiare i muri di piccoli mostri, diavoli, ragni e pensieri sghembi. Carlos Garaicoa a costruire in miniatura sul fianco dolce dei colli tutti i muri che hanno diviso il mondo da quello di Berlino al Vallo di Adriano, dalla Grande Muraglia al recinto ruggine che divide Stati Uniti e Messico. Kendell Geers con neon arancio per scrivere sui muri dell’azienda parole d’ordine e di lotta eterna. Ora che il percorso è degno di pubblica visita, i cataloghi curatissimi pronti per la vendita e le opere messe in sicurezza, Castello di Ama è pronto ad accogliere il pubblico con visite guidate su prenotazione (www.castellodiama.com). Due ore e mezza di tour e una degustazione alla fine con quattro diversi vini. Ma cosa c’entra l’arte con il vino? “Si somigliano molto” dice ridendo Lorenza. “Entrambi hanno bisogno di tempo. Entrambi crescono col tempo. E noi cerchiamo per entrambi la massima qualità. Una qualità che ci hanno tramandato e che abbiamo il dovere di tramandare. Terrazzando ad esempio queste colline, consapevoli che è una tecnica che sta sparendo, che è faticosa, che costa anche il 30 per cento in più. Ma è questa cura, questo inseguire etica ed estetica che ha migliorato il luogo, l’azienda, chi ci lavora e noi”. I lavoratori concordano? “All’inizio erano sorpresi. Anche preoccupati per queste novità. Ora sono i primi a difendere le opere. A discutere con la sovrintendenza e gli assessori per “Le Chemin” di Pascale, si è offerta di andare la nostra amministratrice: non so come, ma li ha convinti tutti”.

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