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LIBERALIZZAZIONE DEI DIRITTI D’IMPIANTO DEI VIGNETI NEL 2015? A RISCHIO ECONOMIA, QUALITÀ E PAESAGGIO DELLE ZONE DI PRODUZIONE DEL VINO PIÙ IMPORTANTI DEL MONDO. SARKOZY IN FRANCIA E LA MERKEL IN GERMANIA HANNO GIÀ DETTO “NO”

Italia
A rischio vigneto nel 2015

L’entrata in vigore della misura Ocm sulla liberalizzazione dei diritti d’impianto si avvicina. Si tratta di un provvedimento di portata epocale e, per le zone di produzione a denominazione d’origine, dagli effetti a dir poco devastanti. La misura, prevista per il 2015, con una possibile estensione nel triennio successivo (2018), fa parte di quelle azioni “market friendly” che caratterizzano il regolamento 479/2008 e che dovrebbero favorire l’uscita del comparto vitivinicolo europeo da quella sorta di “protezionismo” da più parti criticato.
In realtà, questo provvedimento, che si innesca, per giunta, in una fase economica particolarmente delicata, non costituisce di certo una forma di sostegno alle esigenze di un comparto orientato squisitamente alla qualità come quello vitivinicolo e che assegna all’Europa il ruolo di leader mondiale non solo dal punto di vista del potenziale produttivo ma, soprattutto, proprio da quello qualitativo.
L’impatto della misura potrebbe avere, invece, solo delle conseguenze drammatiche e decisamente destabilizzanti, senza l’introduzione di altri strumenti di gestione della produzione alternativi e meno radicali. Molte regioni viticole in Europa, infatti, sarebbe improvvisamente investite da fenomeni di sovrapproduzione, caduta dei prezzi, perdite di lavoro. Verrebbero messi in discussione gli sforzi qualitativi portati avanti dai produttori fino a oggi, senza considerare l’abbassare del valore patrimoniale delle aziende. Il solo futuro paventarsi del provvedimento, peraltro, ha già innescato fenomeni di questo genere, condizionando, di fatto e da subito, il mercato delle compra-vendite aziendali. Ma le sue conseguenze nefaste avrebbero effetto anche, più in generale, sul valore storico-paesaggistico dei territori dei vini a denominazione d’origine, dove la proliferazione dei vigneti porterebbe ad un improvviso disequilibrio ambientale, cambiando letteralmente il “layout” di vere e proprie icone paesaggistiche, ambite e ricercate dal turismo internazionale.
Un provvedimento che impatterebbe in modo generalizzato e negativo la Borgogna, piuttosto che Montalcino, Bordeaux, piuttosto che il Chianti Classico, la Champagne piuttosto che le Langhe. Fermo restando, però, che gli stessi territori ad alta vocazione (che, solitamente, hanno gli albi dei vigneti chiusi) potrebbero continuare a mantenere il loro status attuale, qualora le leggi regionali e statali restassero invariate.
Dal 31 dicembre 2015, potremmo comunque trovarci di fronte ad abnormi zone di produzione. Qualche esempio per comprendere la portata della questione: la superficie vitata della Côtes-du-Rhône potrebbe salire da 61.000 a 120.000 ettari, quella del Chianti da 17.000 a 35.000 ettari, quella della Rioja da 60.000 a 200.000. Numeri importanti che assumono una valenza catastrofica se “tradotti” in termini di bottiglie. Anche qui un esempio vale più di mille parole: nel Chianti Classico, attualmente, ci sono 2.500 ettari vitati ad Igt. Mettiamo che 1.500 siano piantati a Sangiovese. Ebbene, quei 1.500 ettari potrebbero immettere sul mercato, con un approssimazione per difetto, 7,5 milioni di bottiglie di Chianti Classico.
Lo scenario futuro, evidentemente, non vedrà in sede comunitaria uno scontro radicale per l’eliminazione secca del provvedimento, ma, altrettanto evidentemente, sono auspicabili, e in parte già in discussione, cambiamenti e compromessi. Le soluzioni sul tappeto sono sostanzialmente due: una distinzione fra vino da tavola, i cui vigneti potranno essere liberalizzati, e quello a denominazione d’origine, che manterranno l’attuale sistema dei diritti d’impianto; una programmazione triennale concordata tra i protagonisti della filiera e le istituzioni (un po’ come avviene per esempio in Toscana) per stabilire aumento o diminuzione dei vigneti in funzione delle richieste di mercato.
I grandi Paesi come Francia e Germania, con i loro capi di Stato Sarkozy e Merkel in testa, hanno già dichiarato il loro aperto dissenso ad una completa deregulation produttiva, sulla stessa lunghezza d’onda Spagna, Portogallo e Italia, dove però le uniche voci dichiaratamente allarmata restano quelle di Federvini e Federdoc.

Focus - Come funziona attualmente il sistema dei diritti d’impianto
Dal 1976, il settore vitivinicolo si avvale di uno strumento per gestire la produzione: i diritti di impianto. Il principio di base è che nuovi vigneti possono essere piantati se il viticoltore ha i diritti di impianto. Questi diritti sono concessi qualora il produttore possa dimostrare che la domanda di mercato è aumentata per il suo vino.
Si tratta di un modo indiretto di controllo della produzione attraverso la gestione del vigneto con l’obbiettivo di stabilizzare i prezzi e contrastare le crisi di sovrapproduzione.
Attualmente, le aree in cui è possibile produrre vini a denominazione di origine sono strettamente delimitate sulla base di criteri storici, agronomici, orografici e climatici.
Le zone delimitate sono molto più ampie della superficie coltivata, il divario tra le zone delimitate e la superficie coltivata è oggi pari a più di 1 milione di ettari (i vigneti europei sono coltivati in una superficie di 3,4 milioni di ettari).

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