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Libero Gusto

A San Gimignano per bere il vino che stregò Papi e Re ... L’oro e il mito della Vernaccia, un nettare che sa di ginestra e zafferano. E nel bicchiere pare una spremuta di sole... Eravamo quattro amici, non al bar, ma in piazza della Cisterna. Il mio maestro Giacomo Tachis, Zeffiro Ciuffoletti, storico di assoluto nitore intellettuale, e un signore come non se ne trovano più: Riccardo Falchini. Lui la vita se l’è sudata facendo crescere la sua impresa di costruzioni, mattone dopo mattone. Con un sogno: avere terra, vivere la terra. Ha fatto un rosso enorme: il Campora, ha fatto una Vernaccia impetuosa l’Ab Vinea Doni. Li ha fatti lasciando che Tachis accarezzasse i suoi sogni. Non c’è più, credo, nel mondo del vino oggi molto orientato al business quel bouquet di passione, umanità e umiltà che emanava dai sussurri di Riccardo Falchini. Se n’è andato poco dopo che un altro di San Gimignano, Giovanni Panizzi, un “penti - to” dello show-wine e che comunque ha contribuito alla resurrezione della Vernaccia, s’av - viasse a coltivare la vigna celeste. Eravamo quattro amici in quello scrigno di storia, d’arte e di mito che è la piazza di San Gimignano dove troneggia un pozzo che pare l’onfalos (l’ombelico) della terra intesa come culla e iperbole del Creato. Giacomo si lasciò scappare: il vino ha bisogno di questa armonia. Se gli uomini lo facessero ancora con la grazia di queste pietre... Riccardo Falchini si schermì. Sapeva dove Tachis voleva andare a parare e sussurrò: Io ci metto solo la terra. Già, la terra. Qui tutto è terra e pietra e campagna sconfinata e forte ed aristocratica. Solco alla ricerca di quell’armonia la Val d’Esla con il cuore corroborato dall’amicizia. E di lontano s’ergono le torri di San Gimignano. Fortuna la crisi. Non c’è la calca di sempre e tutto è compreso in un fermo-immagine del cuore. La cinta delle mura, lo svettare della Rognosa e della Grossa insieme alle altre superstiti, umane stalagmiti di pietre e mattoni erette in quello scemare di Medioevo quando questo fu davvero un onfalos dell’economia e dell’intelletto. San Gimignano è - certo patrimonio dell’umanità per certificazione dell’Unesco - una pepita d’oro, un tesoro emerso dalla miniera della sapienza umana su cui vorresti mettere le mani. È un impulso quasi cleptomane quello di rapirla, è una passione quasi d’amore quella che ti porta a volere che San Gimignano t’appartenga. E un modo c’è. Fare come quei quattro amici alla Cisterna, abbeverarsi della sua anima che si fa oro splendente e liquido e profumo di ginestra e di mina nel bicchiere: la Vernaccia. L’occasione si avrà in forma pubblica nella prossima anteprima della vendemmia 2011 (e presentazione delle riserve 2010) il 19 e 20 febbraio, ma il rapporto con questo vino che sa di eternità non può che essere di intimità assoluta. Per giungere a San Gimignano, dove l’ultima vendemmia nei quasi 800 ettari destinati a Vernaccia è stata generosa in quantità e qualità, la via maestra è quella dei luoghi della storia. Mi inerpico dalla piramide in pietra di Montaperti al limitare della Berardenga che ricorda il trionfo ghibellino, la breve stagione di Siena dominante su Firenze. Da lì lungo l’Arbia – la dantesca quinta del grande scempio dell’esercito del giglio – ecco Siena e la turrita Monteriggioni, gemella in prospettive architettoniche di San Gimignano. E poi, lasciata sulla dritta Poggibonsi, doppiato Colle di Vald’Elsa, proprio prima di Castel San Gimignano, fu la frontiera del potentissimo vescovo di Volterra, nel rincorrersi di curve che sembrano una murena tra le sponde dell’oceano-mare di vigne, gli scogli di terra rossa e i frangenti di querce e gli sbuffi di cipressi mentre gli olivi danno guizzante lucentezza al paesaggio eccola eterna, bellissima, intima San Gimignano. Le mura medievali racchiudono tutta l’Arte: la Collegiata coi freschi del Gozzoli, l’Annunciazione di Jacopo (della Quercia), i musei col Pinturicchio, il Pollaiolo, il Ghirlandaio. E davvero si resta estasiati a contemplare da questo poggio di Montestaffolo la Spezieria di Santa Fina in quello Spedale che fu nei secoli faro dei viandanti lungo il tratturo di Sigerico - la via Francigena - a cui San Gimignano è tributaria della sua gloria passata e a sentir narrare della vicenda di questa sacra giovinetta che profumò al suo addio terreno la città delle viole gialle che a lei sono intitolate. La sua grazia, di lei beata, ma mai santificata anche se la devozione popolare è infinita, è come fosse la grazia della città che quasi intonsa si mostra nel suo rigore medievale e splende dei fondi d’oro di scuola senese e del giallo zafferano ché il crocus sativus – che ora risorge - fu la sua vera enorme ricchezza. Tutto questo è nella Vernaccia di San Gimignano, vitigno forse etrusco, certo la prima Doc italiana (correva l’anno ’66) divenuta Docg nel ’93, uno dei pochissimi bianchi a vantare la tipologia riserva, un vino che è cantato da Dante, da Boccaccio (Certaldo è a un amen), dal Redi, dal Manzoni. Il vino di popolo che inebriava papi e principi, il vino assoluto che sposa pesci nobili e carni di pregio, quel bianco che profuma di ginestra, di zafferano, che nel bicchiere pare spremuta di sole. Il sole dell’amicizia universale.

Falchino Vigna A Solatio

Riserva di ineguagliabile armonia tra il naso che sa di pietra e di ginestra e il palato che ha freschezza e potenza. Grande (€ 14)

Guicciardini Strozzi Vernaccia Cusona

Cusona è senza dubbio luogo di delizie e la Vernaccia Cusona è assolutamente deliziosa. Fiori bianchi, polpa gialla, gran palato (€ 12)

Panizzi Vernaccia Riserva

Anche senza Giovanni Panizzi resta decisamente un must del territorio. Una riserva elegante e serica al contatto col palato (€ 20)

Poderi Del Paradiso Vern. Biscondola

Freschissima all’incontro col il palato, con naso d’acacia e di frutto giallo e una potente mineralità. Quasi sapida al gusto (€ 11)

Teruzzi & Puthod Vernaccia

L’arrivo della corazzata Campari in cantina non ha sminuito l’artigianalità di questi vini. La Vernaccia base è immediata ed elegante (€ 7,50)

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