“Essere fuori dagli schemi è l’essenza della creatività anche in cucina. Un grande piatto non ha bisogno di ingredienti lussuosi come aragosta o caviale ma di creatività. Bisogna creare e fantasticare. Non abbiate paura della critica. Apritevi e accettare anche i giudizi negativi. Per crescere servono anche un po’ di sberle”. Così un Paolo Marchi (che cita anche David Bowie, uno che con gli schemi notoriamente aveva poca dimestichezza) ha aperto la seconda giornata di “Identità Golose”, il congresso di alta cucina di scena a Milano (www.identitagolose.it).
Parole, quelle dell’ideatore della kermesse, che, all’insegna de “La forza della libertà” che è il concetto guida di questa edizione, seguono quelle di Davide Scabin, che ieri, nell’apertura, ha lanciato spunti che faranno discutere, e si è tolto anche qualche sassolino dalla scarpe: dai “critici e giornalisti che si concentrano sullo “story telling” perchè non sanno più criticare e valutare nel merito la cucina” alla sua contrarietà nel dover fare “per forza” quelle cose che oggi rendono “uno chef figo, come farsi l’orto biologico che magari viene coltivato in terreno inquinato in città”, per esempio.
“Perchè la forza della libertà è anche stare su un palco dove si parla di cucina senza giacca di chef e dire senza paura quello che si pensa, ha detto Scabin, patron di quel Combal.Zero a Rivoli che pochi mesi fa è stato retrocesso da 2 ad 1 stella dalla guida Michelin, tra non poche polemiche. E di libertà, sul Palco di “Identità”, Scabin se ne è presa eccome. A partire dal linguaggio, visto che una delle frasi rimaste più impresse del suo intervento è che “dobbiamo fare più puzzette”. Una battuta ovviamente, che nasconde la convinzione di dover ripensare la nostra alimentazione e cucina, secondo Scabin: “dobbiamo mangiare meno carne, non diventare vegetariani. E puntare di più sui legumi, per esempio”, di cui gli effetti collaterali maleodoranti sarebbero la testimonianza, secondo lo chef. Che non risparmia giornalisti e critica: “oggi chi scrive e racconta non è più in grado di valutare un piatto, di dire se è buono o cattivo e perchè, e allora si punta sulla ricerca di storie, di personaggi “fighi” perchè altrimenti non si sa che cosa dire”. E una delle “figate” del momento, secondo Scabin quasi un “non senso”, è quella dello chef che si fa l’orto, magari biologico, e ripudia, almeno a parole, le grandi aziende.
“Farsi l’orto del ristorante in città è una moda che non capisco. Se stai in campagna ci può stare, ma in città, tra polveri sottili e altro, farsi la carotina “biologica” non ha senso. Poi magari a prescindere si ritiene che la il prodotto del contadino, di cui spesso non si sa niente, sia migliore di quello di una grande azienda. Forse meglio gli Ogm, che saranno pieni di schifezze, ma almeno posso leggerle in etichetta”.
Ancora, provoca Scabin: “l’alta cucina non si regge in piedi, le attività ristorative falliscono, non si può rifiutare l’appoggio delle grandi aziende, che sono poi le uniche con le quali interagire per cambiare davvero le cose, per questo le ringrazio”.
Parole che faranno discutere, certo. Ma Scabin dispensa anche qualche consiglio ai giovani. A partire dalla critica: “non dovete fissarvici: se vi piace una strada percorretela fino in fondo. Alla fine sono i clienti che vi diranno se avete fatto bene, sono loro che scelgono e contano. E non seguite le mode”.
Insomma, libertà di fare, di scegliere, di sperimentare. Che però, spiega Scabin, non significa improvvisazione: “la parola che non può entrare in cucina è il “caso”, tutto dev’essere controllabile. Perché la cucina è chimica e fisica con applicazione della fantasia. Anche perchè un Italia si divorzia per due cose: il sale nella pasta e l’aceto nell’insalata. Il “qb” va dimenticato””.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024