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LA CURIOSITÀ

L’innovazione in un bicchiere: sperimentazioni e visioni sul “vino no-alcohol”

Cresce la domanda per un consumo diverso, e i giovani produttori rispondono con ricerca e alternative nella proposta dei vini senza alcol
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L’innovazione in un bicchiere: visioni sui vini no-alcohol (ph: Mart Production su Pexels)

Sono giovani e preparati. Hanno le idee chiare e hanno respirato e vissuto nel vino. E guardano ad aspetti del futuro, come la “questione vini no-alcohol”, senza i paludamenti che contraddistinguono la discussione in atto nel settore e senza pregiudizi, con lo sguardo di una generazione che guarda al vino concretamente, ma con rispetto. Una categoria, quella dei no-alcohol in crescita, che rappresenta una sfida e al contempo una opportunità, nella loro visione, perché risponde all’evoluzione delle tendenze dei consumatori e offre una nuova strada per coinvolgere la Gen Z e i Millennials attenti alla salute. Ne hanno parlato, a “Wine2Wine”, il business forum di Vinitaly, nei giorni scorsi a Verona, Luigi di Majo, che affianca il padre Alessio di Majo alla guida della cantina di famiglia, la Di Majo Norante, in Molise, e Leonardo Moretti Polegato, figlio di Giancarlo Moretti Polegato, ai vertici di Villa Sandi, una delle realtà più importanti del mondo del Prosecco, insieme ad Alojz Felix Jermann, sommelier e comunicatore del vino.
“Concordiamo sul fatto che i no-alcohol wines siano un possibile approccio iniziale per consumatori che vogliano scoprire il vino. La Generazione Z e i Millennials - ha spiegato Alojz Felix Jermann - hanno costumi e idee di consumo diversi, hanno tante opzioni e l’alcol non è sempre tra queste, per questo i vini dealcolati possono essere una bella alternativa che permette di “contagiarli” positivamente in questo mondo, e aprire la strada perché in futuro costoro possano voler conoscere i grandi vini italiani di eccellenza”.
La priorità individuata è quella del miglioramento della qualità dei vini dealcolati e quindi la ricerca è la base da cui partire, come sta facendo un gruppo di aziende italiane in collaborazione con un team di ricerca. “In questo momento - racconta Luigi di Majo Norante - non produciamo un vino analcolico (cosa peraltro ancora non possibile in Italia, in assenza di una normativa specifica, ma già in essere in Paesi come la Germania, la Francia e la Spagna, come previsto dal regolamento europeo in materia, ndr), ma stiamo facendo ricerca, con l’obiettivo di trovare le migliori tecnologie di dealcolazione, i migliori uvaggi e lavorazioni per produrre un vino analcolico qualitativo che abbia caratteristiche, all’olfatto e al palato, molto somiglianti a quelle di un vino tradizionale”. Nello stesso filone di ricerca è coinvolta anche Villa Sandi, che produce già un vino “zero alcol”, quindi non un dealcolato, che parte dalla base mosto, con il marchio “La Gioiosa”, brand di proprietà della stessa cantina veneta. “In questo momento, per via dei limiti di legge - racconta Leonardo Moretti Polegato - non stiamo sperimentando in Italia, ma in Germania e Spagna, e ci auguriamo che in futuro potremo arrivare anche a uno sviluppo tecnologico in Italia. Pensiamo a tutti i brevetti che in questo momento vengono conseguiti da aziende tedesche e spagnole, quando anche in Italia abbiamo il meglio del meglio dell’industria tecnologica”.
In ogni caso i cosiddetti “No-Low”, potrebbero rappresentare, come da più parti viene suggerito, i vini di ingresso per una vasta categoria di profili di consumatori che per ragioni, le più diverse, al vino (e all’alcol) non si accostano. E anche per chi pensa che per marchi affermati la produzione di questa tipologia rappresenterebbe un vulnus, un’ombra sul marchio, i “ragazzi” hanno una risposta sensata. “Le tecniche attualmente disponibili - racconta ancora Leonardo Moretti Polegato, che in azienda è responsabile dello sviluppo di nuovi progetti, su sostenibilità, energie rinnovabili e nuove tecnologie, compresi i vini “No e Low alcol” - per la maggior parte derivano da altri tipi di dealcolazione, specialmente da quella della birra, che vanno adattate al vino per il recupero degli aromi. Quella della birra è stata la prima industria a investire seriamente in questo ambito comprendendo lo spazio che si è aperto sul mercato. Ci auguriamo che in futuro, con un ritmo di investimenti diversi, si inizino a sviluppare delle tecnologie ad hoc e specifiche per il mondo del vino che ci permetteranno di raggiungere livelli qualitativi più alti”. E a proposito delle possibilità di una crescita (anche in Italia) del mercato dei dealcolati i due giovani produttori sono sicuri che nel momento in cui si raggiungeranno standard qualitativi buoni, molti più brand decideranno di ampliare la propria gamma. “La birra ha iniziato più di 10 anni fa a sperimentare sui prodotti analcolici - prosegue Luigi di Majo - e in questo momento, dopo ingenti investimenti, ha raggiunto ottimi risultati arrivando a prodotti praticamente con le stesse caratteristiche a una birra tradizionale. Il vino, invece, è rimasto indietro rispetto a questo segmento no-alcohol: creare un’alternativa a birra, cocktail e tè fermentati aprirebbe al vino questa fetta di mercato attualmente occupata da altri”.
Attualmente, produrre questi vini, vuol dire andare a dealcolare all’estero, con un costo molto elevato non solo in termini economici, ma anche ambientali, perché vuol dire movimentare delle masse, portarle altrove, lavorarle e poi riportarle indietro. Quindi è chiaro che è auspicabile, per i sostenitori di questo tipo di produzione, che la legislazione cambi. “È importante - ha concluso Leonardo Moretti Polegato - che questo ambito venga regolamentato in modo corretto in un settore che negli anni, grazie alle regolamentazioni, è riuscito a sopravvivere a crisi molto importanti. Necessario è, però, anche capire che al mondo del vino serve avvicinare i giovani, aumentare i punti di contatto con coloro che tendono a bere solo nei due giorni del fine settimana, mentre nel resto dei giorni bevono acqua o qualche soft drink. Quindi i vini dealcolati potrebbero anche essere funzionali ad aumentare la visibilità di marchi famosi per la produzione di vini “tradizionali” anche in situazioni in cui non si consumano alcolici. Guardando alla direzione presa dalla maggior parte dei Paesi, dovremmo cercare di garantire anche all’Italia una quota di mercato in questo segmento in crescita”. “Nella situazione attuale - ha sottolineato Luigi di Majo Norante - le aziende sono impossibilitate a produrre vino dealcolato in Italia, quindi sono forzate a produrre all’estero per assecondare una domanda che sta crescendo. In Francia, Spagna, Germania e Inghilterra la regolamentazione sui dealcolati è meno restrittiva, quindi i produttori di quei Paesi sono avvantaggiati riuscendo a produrre senza troppe complicazioni, mentre in Italia gestire logisticamente lo spostamento di masse di vino al di fuori dei confini non è affatto banale. Qualcuno contrario avanza l’ipotesi che solo i grandi gruppi potranno dealcolare visto che dotarsi di uno stabilimento dedicato è estremamente oneroso. Ma non è così. Per esempio in Germania e in Spagna stanno creando dei centri specializzati di dealcolazione che possono servire per vari livelli di volume a grossi, piccoli e medi produttori”.

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