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FUTURO

Ma i piatti si possono brevettare? Gli strumenti legali a tutela di creatività e innovazione 

Con lo chef Giancarlo Perbellini se ne è discusso a Verona nel seminario “Dalla cotoletta al conto economico”

É possibile brevettare la creazione di un grande chef, dalla ricetta al nome del piatto, all’impiattamento, come si brevetta un qualsiasi altro frutto del lavoro creativo? Una domanda alla quale si è cercato di rispondere nel seminario “Dalla cotoletta al conto economico”, promosso dalla Camera di Commercio di Verona, di scena nei giorni scorsi nella città dell’Arena. Tra i relatori, lo chef stellato Giancarlo Perbellini, il professor Alberto Gambino, Ordinario di Diritto Privato, delegato del Ministero per lo Sviluppo Economico e componente del Comitato Consultivo per il Diritto d’Autore e l’avvocato Anna Sacquegna, partner Unistudio Legal & Tax.
Dagli iconici piatti di Gualtiero Marchesi in avanti, la grande cucina italiana si è molto evoluta negli ultimi anni ed è cresciuto esponenzialmente il lavoro creativo degli chef. L’alta ristorazione ha anche un importante valore economico e, dal punto di vista della sperimentazione, rappresenta un traino dell’immaginario collettivo. Come l’alta moda, è un’economia, ma detta stili e tendenze. Questa crescita non sempre è stata accompagnata però dalla necessaria attenzione nell’utilizzo degli strumenti disponibili a tutela della creatività e dell’innovazione, che sono basilari per il mantenimento della competitività acquisita con menu creativi e originali. “Per la Francia - spiega lo chef Giancarlo Perbellini - è sempre stato più facile costruire ed esportare la propria cucina, perchè di base ci sono solo 30 ingredienti (dalla triglia al foie gras, dall’anatra al piccione). Noi, invece, abbiamo una varietà indescrivibile di materie prime, che è il nostro fiore all’occhiello ed il motivo per cui la nostra cucina è leader nel mondo. Abbiamo avuto grandi maestri: a partire da Gualtiero Marchesi, poi Gianfranco Vissani, ed ora Massimo Bottura, che ha coinvolto un gruppo di persone che stanno trainando la cucina italiana. Io ho brevettato la mia rivisitazione della cotoletta, la “Milanese Cotta e Cruda”, quando sono arrivato a Milano: volevo evitare di essere copiato. Ci avevo provato altre volte, ma questa ci sono finalmente riuscito, anche se mi hanno detto che si poteva brevettare il metodo, ma non il nome”.
“L’arte e la tecnica a volte non si sposano - spiega l’ingegner Marco Lissandrini (Bugnion), società di consulenza specializzata in proprietà industriale ed intellettuale, che si è occupata proprio del brevetto del piatto di Giancarlo Perbellini - la sfida era riuscire ad individuare l’elemento tecnico, poiché questo richiede la brevettabilità. Nel caso di questo piatto, l’elemento tecnico è la cottura asimmetrica (in parte cruda, in parte fritta), il suo segno distintivo”.
Del resto, proprio a Verona, non mancano i precedenti: uno dei primi brevetti alimentari in Italia fu quello del Pandoro Melegatti, nel 1894. Dunque cosa si può brevettare e cosa invece no, in cucina? “Quello che si può brevettare è proprio il procedimento, non la ricetta in quanto tale - sottolinea l’avvocato Anna Sacquegna, partner Unistudio Legal & Tax - e, quindi , l’elemento tecnico è fondamentale. Ma questo è molto difficile da individuare nell’alta cucina, perchè la tecnica si è molto evoluta. Uno dei requisiti essenziali per la brevettabilità è la novità, oltre che la sua attitudine all’industrialità, anche se questo è un paradosso se lo dobbiamo rapportare all’alta cucina. Abbiamo molti esempi di brevetti in ambito food, ma inteso come grande distribuzione organizzata, quindi un’industrializzazione del processo. La grande sfida attuale è capire come nel tempo il brevetto di un piatto possa sostenere eventuali attacchi di terzi. La durata è assimilabile ad ogni altro brevetto, ovvero di 20 anni”.
Un altro strumento disponibile è la legge che disciplina il diritto d’autore, che risale al 1941 e tutela “le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione”. Ma come può essere applicata alla cucina? “Il tema riguarda le categorie dello spirito, più che del diritto - dichiara Alberto Gambino, Ordinario di Diritto Privato, delegato del Ministero per lo Sviluppo Economico e componente del Comitato Consultivo per il Diritto d’Autore - le idee non sono tutelabili, sono patrimonio dell’Umanità. Ma la trasposizione dall’idea ad un oggetto che la rappresenta e che può essere fruibile dalla collettività può essere tutelata dal diritto d’autore. Se si dovessero coprire con copyright le ricette nessuno di noi potrebbe cucinare, per assurdo. Per il diritto d’autore si usano solo due sensi, la vista (per esempio, libri o quadri o film) e l’udito (musica), ma qui sfruttiamo un altro senso, che è il gusto. Occorre ragionare su questo nel futuro, parlando di “esperienza”: un contatto con un’opera che si consuma in poche ore, ma che va comunque tutelata. Per quanto riguarda l’impiattamento c’è già una tutela, come se il piatto fosse un quadro. Ma questo è insoddisfacente, perchè l’impiattamento non riguarda l’interezza di un piatto, non considera per esempio il suo sapore. A livello europeo è riconosciuta anche la “paternità” a livello morale, e ci sono già casi di giurisprudenza. Invece non si può ancora tutelare un piatto a livello di copyright”. “Ci può certamente venire in aiuto - aggiunge ancora l’avvocato Anna Sacquegna, partner Unistudio Legal & Tax - anche tutta la legislazione vigente su brand e marchi: per esempio, “Giancarlo Perbellini” è già un brand, e questa è la parte più semplice da tutelare. Oppure posso registrare un impiattamento come marchio figurativo. Ma il vero fondamento da tutelare è il know-how, ovvero la costruzione del menu, l’esperienza, i segreti commerciali, che costituiscono il cuore di un’azienda di ristorazione”. Aggiunge il professor Alberto Gambino, Ordinario di Diritto Privato, delegato del Ministero per lo Sviluppo Economico e componente del Comitato Consultivo per il Diritto d’Autore: “per fare un parallelo, le notizie non sono coperte da diritto d’autore, gli articoli giornalistici sì. Nello stesso modo, gli ingredienti non sono tutelabili, appartengono a tutti, mentre il modo di “raccontarli” appartiene al loro autore. Dunque, il modo di raccontare un piatto non può essere copiato e plagiato, soprattutto se alla base ci sono anche un brevetto, un marchio e così via. Uno stile può essere coperto dal diritto d’autore. Ma dobbiamo trovare un livello più “alto” del diritto d’autore, che riguardi anche il pregio di un piatto, che non può essere riprodotto da chiunque. La cucina è ormai anche un’esperienza culturale, quindi associare la cultura al food può essere un’ulteriore chiave per poter utilizzare il diritto d’autore a tutela di un piatto”.

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