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“MADE IN ITALY? NO, MADE IN FORCELLA”: ECCO COSA SUCCEDE, SECONDO ADUC, CON LA PROPOSTA DEL MINISTRO ZAIA DI RENDERE OBBLIGATORIO IL DIALETTO IN ETICHETTA. “UNA TOMBA PER L’ECONOMIA”

“Made in Italy? No, made in Forcella”: secondo Vincenzo Donvito, presidente dell’Aduc (Associazione diritti utenti consumatori) è questo il risultato dell’idea del Ministro delle Politiche Agricole Luca Zaia di rendere obbligatoria, sulle etichette alimentari, la dicitura in italiano e in dialetto. Un esito che Donvito definisce “la tomba dell’economia”, perché i produttori “dovrebbero limitarsi al mercato locale”, e si avrebbe “un’economia legata al quartiere; i dialetti sono diversi anche da quartiere a quartiere nel medesimo centro abitato. Altro che made in Italy, il Ministro del Governo sta lavorando per il “made in Forcella”, “made in San Frediano”, “made in Testaccio”, “made in Niguarda”, “made in Mirafiori”.

Che ci siano dei produttori che “per meglio specificare il proprio prodotto - ricorda Donvito - usano termini dialettali, non è una novità: ovunque si trovano freselle e malloreddus”, ed è altrettanto noto che usando un termine gergale per l’etichetta “o si tratta di un marchio su cui si investono milioni per farlo conoscere, oppure ci si limita ad un mercato territorialmente ristretto”.

Con l’obbligatorietà invece “tutti i produttori sono condannati - sottolinea il presidente Aduc - o ad investire milioni sui propri marchi o ad essere aziende con mercati limitati”. Per Donvito, “se, come auspica il Ministro Zaia, il dialetto fosse reso obbligatorio a scuola, avremo schiere di ragazzi che parleranno un italiano stentoreo, un presunto buon dialetto e continueranno ad essere gli ultimi in Europa a conoscere l’inglese”.

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