Come un aperitivo senza bollicine o un amaro senza retrogusto. Tra i più colpiti dall’emergenza Covid-19 c’è sicuramente il settore degli spirits con il comparto che fa fatica e che chiede misure per ripartire. La chiusura dei bar e di tutti quei locali simbolo della movida “pre” e “post” cena ha tolto ossigeno alla catena produttiva dei superalcolici, degli amari, degli aperitivi e così via, che non può neanche beneficiare più di tanto delle vendite in altri canali, come gdo e e-commerce. E il danno non è da poco, basti pensare alle solide radici italiane che si trovano nei drink serviti nei bar di tutto il mondo. La Gdo non può bastare per salvare il salvabile perché parliamo di prodotti che trovano il suo habitat naturale nel “fuori casa”. Per questo la riapertura dei locali di somministrazione è particolarmente attesa anche se rimangono preoccupazioni sulle modalità. Distanziamento, mascherine e accessi limitati cozzano con la filosofia spiccatamente aggregativa dei luoghi in cui è forte il consumo degli spirits. WineNews ha fatto il punto della situazione con Micaela Pallini, presidente del Gruppo Spirits Federvini. “Il nostro purtroppo è un settore che troppo spesso non ha avuto la giusta comunicazione eppure rappresenta il Made in Italy esattamente come altri settori dell’agroalimentare. Quando si parla di spirits non si pensa al fatto che il momento degli aperitivi e del dopo pasto sono momenti di convivialità che si accompagnano al cibo. Anche noi portiamo in giro la bandiera italiana nel mondo”. Il periodo attuale è una doccia fredda per un comparto che è cresciuto negli ultimi anni, trainato dalla riscoperta di alcuni simboli che sono ancorati alla tradizione italiana ed esportati poi in tutto il mondo.
“Negli ultimi 10 anni - sottolinea Micaela Pallini - c’è stata la riscoperta del mixology tradizionale e dei nostri cocktail come il Negroni dove se dal bicchiere si toglie l’Italia rimane solo il gin. Parliamo di prodotti complessi, fatti interamente in azienda. Anche lo spritz ci sta aiutando molto nel mondo. Sì abbiamo avuto una rinascita anche se in patria non se ne parla molto”. Chiusa la parentesi “dolce”, adesso arrivano le note dolenti.
“Il nostro è un settore in cui si è privilegiato parlare dei problemi del consumo sbagliato degli spirits, che comunque c’è e va affrontato, piuttosto che della parte positiva che porta l’Italia in giro per il mondo nel momento dell’aperitivo, del dopo pasto e nel post-cena nei cocktail-bar. Abbiamo avuto un aumento delle accise del 30% e questa tassa, che per il vino in Italia è a zero, pesa solitamente intorno al 30% del valore del prodotto a scaffale. Parliamo dunque di un componente importante per il prezzo del prodotto al consumatore. A ciò va sommata l’Iva ma anche l’inasprimento di alcune condizioni commerciali di quello che era per noi il principale mercato di sbocco, gli Stati Uniti. Il rinascimento della mixology ha avuto una forte spinta dal mercato americano grazie anche alle maggiori capacità di spesa dei consumatori. L’arrivo dei dazi per i liquori, dopo le guerre commerciali, già faceva prevedere un 2020 complesso per le nostre aziende che sono di natura esportatrici visto anche i consumi nazionali ridotti. Il Covid è stata la ciliegina sulla torta. Si è bloccato il comparto del “fuori casa” che per noi può toccare anche il 60% e lo ha fatto contemporaneamente in tutto il mondo”. Compresa l’Italia dove il consumo dei superalcolici avviene prevalentemente fuori dalle mura domestiche.
Adesso, però, è il momento di guardare alla ripresa. Quali sono le misure più urgenti per far ripartire il mondo degli spirits? Abbattere la burocrazia è una delle priorità. “Quando ci sarà la possibilità di riuscire - dice fiduciosa Micaela Pallini - io sono certa che la gente lo farà perché ha bisogno di star fuori. Il costo psicologico di questa chiusura forzata è pesante. Ci vuole dal Governo, se possibile, risposte abbastanza certe. Il centellinamento di informazioni, questa frammentarietà, non aiuta di certo nessuno. E spaventa anche il consumatore. Ma chiediamo al Governo di mettere mano su alcuni punti di cui da tempo parliamo: il primo è l’abrogazione del contrassegno fiscale, siamo tra i prodotti che devono obbligatoriamente applicarlo e ciò porta via tanto tempo dal punto di vista amministrativo e non solo. Esistono tecnologie con cui i controlli possono essere fatti in un’altra maniera. E poi serve una sospensione dei tempi di pagamento delle accise e una loro riduzione per abbassare il prezzo al consumo. Vogliamo risposte certe e veloci. Abbiamo poi chiesto una defiscalizzazione dei fatturati che provengono dal commercio estero e anche una detrazione totale delle spese di rappresentanza. Inoltre avevamo ipotizzato una riduzione dell’aliquota Iva per il prodotto destinato all’horeca. Bisognerà poi capire quando avverrà la ripartenza dei flussi turistici. Per il nostro settore tutto quello che riguarda il consumo nei bar, negli alberghi, nella ristorazione, nei duty free e nei negozi che vendono souvenir è vitale”.
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