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Un rosso a Piazza Affari. Vigneto Toscano diviso ... Promosiena punta alle Borse dell’Est, i big dicono no... Vino in borsa, che tentazione. Piazza Affari dice che è possibile, anzi auspicabile;
e il vigneto militante si spacca in due: chi si tuffa nell’avventura, chi, al contrario, pur rientrando nella radiografia tracciata da Borsa Italiana, risponde “no, grazie”, e guarda ad altre forme di finanziamento per i propri investimenti. Lo dice Piero Antinori, gli fa eco Lamberto Frescobaldi, e più o meno lo stesso vento tira dagli uffici di Villa Banfi a Montalcino. Per l’appunto i tre big del vigneto Toscana più appetibili per gli operatori di Borsa.

Vino e finanza, Toscana a due facce. Da un lato c’è Promosiena, che per la campagna promozionale 2008 punta soprattutto ai nuovi mercati europei, l’Est e il Baltico (ma con altre finestre ben aperte dalla California a Londra, dalla Norvegia al Brasile) pensando di quotare i vini della provincia in Lituania e in Polonia, perché “la domanda - dice il direttore Lorenzo Mulo - è sostenuta dai consumi alimentati dalla liberalizzazione”. Promosiena ragiona in termini di sinergie e di azioni condivise. Diverso il discorso quando si va a parlare di accesso diretto. Un’eventualità rilanciata con uno studio proposto al recente Salone del Vino da Anna Clauser, analista (fiorentina) di Borsa Italiana: 56 aziende monitorate,“una decina - aveva detto - potrebbero entrare in Borsa subito, al mercato Expandi, nato quattro anni fa, dove la mediana del fatturato è 40 milioni di euro”. Aziende, aggiunge, “con buona marginalità, con un margine operativo lordo sui ricavi superiore al 10%”. Con quali vantaggi? L’analista non ha dubbi: “Superare - dice la frammentazione, finanziare i progetti di crescita, rafforzare la rete distributiva, la protezione dello stoccaggio, l’accesso al consumatore. E favorire investimenti tecnologici e passaggi generazionali”.

Fatti due conti, facile individuare i “papabili” in Toscana. Tre nomi: Antinori, Frescobaldi, Banfi. Nessuna, però, affascinata più di tanto dalla sirena della Borsa. “Argomento già affrontato e accantonato”, si affrettano a commentare in casa Banfi. “Non ne abbiamo necessità”, dice dal canto suo Piero Antinori, a capo di un colosso da 25 milioni di bottiglie e oltre 115 milioni di fatturato. Ma un colosso familiare, “in Borsa - commenta - ci va chi deve pagare espansioni rapide o chi, in famiglie assai numerose, ha soci non attivi, e più flessibilità”. E poi c’è il discorso della qualità, “che per definizione è un’attività a lungo termine, la Borsa guarda ai trimestri, noi invece al decennio”. “E poi, se un’annata va male, e il Brunello non lo produco, come nel 2002, rinuncio a 300mila bottiglie e il fatturato si raffredda, che cosa rispondo all’investitore?” si chiede Lamberto Frescobaldi, manager dell’azienda di famiglia, 70 milioni di fatturato a livello di gruppo. “In Borsa dice Frescobaldi - si va per ripianare debiti, per finanziare una crescita a cui noi provvediamo da soli, o per liquidare soci che se ne vanno”. Il Vigneto Toscana, insomma, preferisce altre forme di finanziamento. Le riassume Piero Antinori: “C’è il leasing, ci sono ottimi mutui, poi ci sono strumenti ideali come le private equities, o la vendita en primeur, insomma i futures: a Bordeaux è abituale, per noi sarebbe ideale per il Brunello, che ha tempi più lunghi. Di affinamento e di invecchiamento”.

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