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“La formula magica del turismo? il ‘Rosso’ che sposa il territorio” ... 8 domande a Francesco Marone Cinzano... Un altro grande colpo per il Brunello: la presenza del numero uno Fiat Sergio Marchionne all’anteprima di Montalcino e l’ammissione che “il lavoro della Fiat può solo aspirare a ricevere il riconoscimento che il Brunello ha avuto nel mondo ...”. Lei da presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino, cosa può dire in merito?

“Il pensiero di Marchionne ci fa molto piacere, anche perché proviene da un uomo che conosce molto bene il contesto economico internazionale. E’ l’associazione di due storie di successo del made in Italy, che però non devono, entrambe, fermarsi sugli allori conquistati.”

Tanto successo sta creando qualche problema con altri grandi prodotti
del made in Italy enologico. Dal Piemonte sono partiti malumori e critiche. Cosa ne pensa, lei che è di antica famiglia piemontese?

“Credo che il successo del Brunello debba preoccupare piuttosto la nostra concorrenza storica, e cioé quella francese. La ricchezza enologica del Belpaese ormai è un fatto assodato ed è evidente che il nostro vino di alta qualità ha solide basi in ogni regione a grande vocazione vitivinicola”.
Uno dei padri di Montalcino, Ezio
Rivella, che ha creato Castello Banfi, una delle aziende leader, ha scritto che questo vino dal 1995 “ha cessato di essere soltanto un prodotto ed è diventato un’icona, ma, allo stesso tempo, non è che sia oggettivamente migliore di tutti gli altri. Semplicemente è riuscito dove altri hanno fallito”. E’ così?

“Direi proprio di sì, anche se non si è verificato un fallimento di altre realtà. Montalcino ha saputo trovare una formula magica. E’ un luogo fortunato che ha risollevato le proprie sorti, passando da una vera e propria povertà ancora vigente agli inizi degli anni ‘70 (i ricordi sono personali e riguardano l’acquisizione della Tenuta Col d’Orcia da parte di mio padre), ad uno sviluppo progressivo, fino alla attuale affermazione. E innegabile che questo processo è stato favorito anche da particolari circostanze: il territorio è scampato all’erosione ambientale degli anni ‘60, restando intatto fino ai giorni nostri e, per questo, diventando uno fra luoghi più ambiti dal turismo di lusso. Il vino, d’altra parte, ha cavalcato il boom della gastronomia italiana all’estero degli anni ‘90, proiettandosi nei mercati di tutto il mondo e sfruttando questa occasione. Una combinazione di elementi, insomma, dove anche la fortuna è stata determinante”.

Sempre Rivella scrive che il successo del Brunello si spiega “anche perché è un vino costoso”. I prezzo può diventare uno status symbol?
“Direi proprio di sì. Ma nel caso di Montalcino è accaduto piuttosto che il Brunello prima è diventato status symbol e questo traguardo ha permesso un posizionamento del prezzo in fascia alta”.

Il Brunello viene esportato al 60 per cento. Non si rischia così di
snaturare il prodotto, di farne qualcosa di diverso dal grande rosso toscano a base Sangiovese che tutti conoscono?

“Decisamente no. Se non altro perché è un vino da grande invecchiamento. E proprio nel lungo periodo, infatti, che il Brunello saprà rafforzare la propria identità, originalità e qualità, forte anche di un disciplinare che impone l’utilizzo del Sangiovese al 100 per cento”.
L’export fa correre il made in Italy enologico, ma intanto i consumi in
Italia (e in Europa) sono fermi o in calo...

“I consumi sono cambiati. Da noi e nel resto d’Europa si beve meno, ma meglio e questa tendenza non fa altro che bene ad un vino come il Brunello”.

Come rilanciare i consumi del vino in Italia: intervenendo sui prezzi,
sugli stili di vita, sulle dinamiche
distributive e commerciali?

“L’intervento sui prezzi è a discrezione di ogni azienda, che tara la propria strategia all’interno delle leggi di mercato. Non è possibile intervenire sugli stili di vita, piuttosto bisogna offrire un prodotto capace di soddisfare gli stili di vita in evoluzione. Anche in questo caso Montalcino risulta ben attrezzata: il Rosso è un vino capace di soddisfare anche le tendenze più moderne in fatto di vini immediatamente godibili e targettizzati sui giovani”.

Montalcino è ormai un caso da manuale di marketing del territorio.
Il business del vino funge da moltiplicatore per turismo, artigianato ed economia locale. Dove sta il segreto?

“Inutile negare che a Montalcino il vino ha svolto questa funzione di ‘moltiplicatore’, quasi in solitudine. Almeno in passato. Oggi è la volta di prodotti come l’olio e il miele, ma anche delle infrastrutture del territorio, che esigono una maggiore qualificazione. Non vedo un particolare segreto, ma un felice mix di uomini, terra e un pizzico di polvere di stelle...”.

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