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Nazione / Giorno / Carlino

Il vino degli Dei e dei vulcani. La passione dei sapori perduti ... Lo sguardo di Alessandra Borghese... La Malvasia delle Lipari nella vigna di Capofaro a Salina: una tradizione che risale al 588 avanti Cristo... È tempo di vendemmia! Da nord a sud c’è una grande mobilitazione. Con le nuove tecnologie molti produttori hanno deciso di far vivere la vendemmia in diretta ai consumatori usufruendo dei social network. Così cliccando su Internet si possono trovare video, fotografie e filmati di ogni genere. Nel nostro paese ci sono ormai sempre più vini rinomati e ricercati, basti pensare alle doc (denominazione origine controllata) che ogni regione italiana ha nella propria zona di produzione. Tra queste tantissime doc, una mi appassiona particolarmente: la Malvasia delle Lipari. Le origini di questo specialissimo vino risalgono al 588 avanti Cristo. Originariamente furono proprio i Greci nell’Isola di Salina ad iniziare una delle pratiche più antiche della lavorazione dell’uva, “l’appassimento”, ed ancora oggi fondamentale nella produzione del Malvasia. Corrado Maugeri è un giovane siciliano che da qualche anno è il responsabile della vigna di Capofaro, sei ettari di vigneti nell’isola di Salina. Sei ettari di Malvasia possono sembrare pochissimi ma per il Malvasia sono invece molti, Capofaro è infatti il più grande unico blocco di appezzamento totalmente meccanizzato, perché normalmente il Malvasia è coltivato in piccole sezioni. Ma torniamo un momento alla tecnica dell’ appassimento. Un tempo si disponeva l’uva su dei cannizzi intrecciati tra loro come a formare delle barelle, oggi si usano invece delle reti. Si posiziona l’uva al sole in modo da far disidratare l’acino e condensare gli zuccheri per realizzare un vino dolce e alcolico. Gli esperti come il giovane Maugeri, dicono che più alcol elimina gli insetti e la probabilità al vino di diventare aceto. Forse non è un caso che la coltura del Malvasia si sia sviluppata proprio nelle Isole Eolie se si pensa che il chicco di media grandezza ha una buccia molto resistente e per questo può restare molto al sole. Guardando da vicino questi vigneti si nota che l’uva bianca al sole diventa quasi dorata, la pianta ha la foglia piccola a cinque lobi con la pagina superiore verde chiara. Il grappolo è triangolare o a volte cilindrico. Tra le uve aromatiche come il Moscato, lo Zibibbo e il Traminer, la Malvasia è sicuramente la meno aromatica. Ho provato a mangiare un chicco d’uva direttamente dalla pianta a pochi giorni dalla vendemmia ed ho ritrovato l’immediato sapore del vino conservato in bottiglia. Nella splendida tenuta di Capofaro che appartiene alla famiglia Tasca d’Almerita, si è cercato di lavorare la vigna lasciando uno spazio fogliare ampio. Per questo l’azienda ha scelto di essere un Igt (indicazione geografica tipica). Per le coltivazioni doc di Malvasia è invece prevista l’aggiunta dell’uva di Corinto nero, antichissima specie di origine greca e molto sviluppata in Turchia (la stessa usata per fare l’uvetta del panettone). Purtroppo questa nobilissima uva può dare un colore molto ambrato, scurendo il Malvasia e rendendolo a volte troppo mielato e stucchevole. Con un 100% di uva Malvasia a Capofaro hanno invece raggiunto una tipologia di vino brillante, equilibrato e sapido caratteristiche tipiche dei terreni vulcanici. Bere questo tipo di vino può diventare una vera passione, una ricerca di sapori perduti, paesaggi incontaminati, vallate verdi che scendono verso il mare blu e caldo delle isole siciliane. Regalare una bottiglia di malvasia è un po’ come donare il mare e il vulcano, il sole e il vento: segni distintivi delle Isole Eolie. Non a caso il Malvasia è chiamato il vino degli dei e dei vulcani.

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