Può essere anche un paradosso, perché negli anni in cui gli acquisti online crescono considerevolmente, vuoi per comodità, velocità, disponibilità dei prodotti e convenienza economica, i cittadini vogliono più negozi nei propri quartieri dove vivono. Attività o botteghe dove fare la spesa, e di riflesso socializzare, perché un’insegna significa anche presenza, infonde sicurezza, è un punto di riferimento. Ma i negozi sono sempre meno, ed i motivi, possono essere tanti: dalla concorrenza degli e-commerce al costo degli affitti, dal fenomeno degli “spostamenti” abitativi lontano dai centri storici, alla perdita dei servizi essenziali che, soprattutto nei piccoli centri, rendono più faticosa la vita delle attività. Bar e ristoranti, però, sembrano essere quelli che resistono meglio.
Gli italiani dicono “sì” agli esercizi di prossimità, perché questi rafforzano le comunità (per il 64% degli intervistati), fanno sentire più sicure le persone (57%) e fanno crescere il valore delle abitazioni (fino al 26% in più). La chiusura dei negozi, poi, preoccupa e intristisce i cittadini, soprattutto al Nord e nelle città di medie dimensioni, che percepiscono chiaramente quali tipologie merceologiche siano a maggiore rischio. Una sintesi numerica che arriva da un’indagine realizzata da Confcommercio, in collaborazione con Swg, nel progetto Cities, che si occupa di contrasto alla desertificazione commerciale nelle città italiane e di sviluppo del valore sociale delle economie di prossimità. Da sottolineare che, secondo le ultime stime dell’Ufficio Studi Confcommercio, tra il 2012 e il 2023, in Italia, sono spariti oltre 111.000 negozi al dettaglio e 24.000 attività di commercio ambulante. Un’emorragia preoccupante perché in grado di cambiare non solo l’aspetto di una città, ma anche le scelte che vengono fatte. Per gli italiani, la presenza di esercizi commerciali nel luogo in cui si vive, è l’elemento che vede la maggiore soddisfazione in assoluto e l’unico che riceve una valutazione positiva in tutte le aree del Paese e in tutte le tipologie di comuni, sia piccoli che grandi, in misura maggiore persino rispetto alla presenza di spazi verdi e di servizi pubblici, come scuole, ospedali, centri sportivi. La presenza dei negozi guida anche le preferenze insediative dei cittadini: per l’88%, infatti, è determinante nella scelta del quartiere nel quale vivere, mentre solo una persona su 10 preferisce vivere in una zona esclusivamente residenziale, senza servizi di prossimità; molto significativi anche gli effetti della presenza dei negozi sui valori immobiliari: secondo gli intervistati, uno stesso immobile potrebbe vedere crescere il proprio valore almeno del 20% quando collocato in una zona residenziale con molti negozi di prossimità, mentre in un quartiere dove sono in corso fenomeni di desertificazione commerciale potrebbe perderne il 15%, con un differenziale complessivo, quindi, di oltre un terzo.
Alle attività economiche di prossimità viene anche riconosciuto un alto valore sociale: per quasi i due terzi degli intervistati (64%) rappresentano soprattutto un’occasione di incontro che rafforza l’appartenenza alla comunità, ma anche un servizio attento alle persone fragili (59%), un presidio di sicurezza (57%), una garanzia di cura dello spazio pubblico (54%) e un facilitatore dell’integrazione (49%); quando si tratta di consumi, gli acquisti quotidiani di farmaci (64%) e tabacchi (59%) vengono effettuati prevalentemente negli esercizi vicini all’abitazione; per abbigliamento (64%), alimentari a lunga conservazione (60%), accessori per la casa (60%) e prodotti di elettronica (53%), i centri commerciali e le grandi strutture distributive (megastore, outlet) diventano i luoghi di acquisto prevalenti rispetto agli esercizi commerciali in centro città, dove quelle tipologie di beni registrano percentuali di acquisto tra il 2% e il 5%. Uno dei motivi delle scelte di acquisto al di fuori del proprio quartiere deriva dall’avanzamento della desertificazione commerciale, ovvero dal calo o addirittura dalla totale assenza di negozi tradizionali vicino alla propria abitazione: rispetto alla propria zona di residenza, infatti, per i negozi specializzati si avverte prevalentemente una diminuzione, come nel caso dei negozi di abbigliamento ed elettronica (46%) e dei servizi essenziali, tra cui gli alimentari (42%), solo i servizi per il tempo libero (tra cui bar e ristoranti) sono percepiti in aumento dal 43% degli intervistati.
La percezione dell’avanzamento della desertificazione porta con sé un forte sentimento negativo che spinge 1 italiano su 5 (22%) addirittura a ipotizzare di cambiare abitazione nel caso in cui il fenomeno dovesse acuirsi nella zona in cui abita; l’83% degli intervistati dichiara di provare un senso di tristezza di fronte alla chiusura dei negozi nelle strade della propria città e il 74% ritiene che tale fenomeno incida negativamente sulla qualità di vita nella zona di residenza. Forte è la consapevolezza della difficoltà di una loro riapertura: il 56% degli intervistati sostiene che difficilmente un negozio chiuso nel proprio quartiere verrà sostituito da un altro. I cittadini che percepiscono nel proprio quartiere fenomeni generali di desertificazione si equivalgono con coloro che rilevano una crescita delle attività (39%), e questo è indicativo non solo di una certa dinamicità delle imprese del terziario, ma anche di una geografia dei fenomeni differenziata per merceologia, macroregioni e diverse dimensioni dei comuni: se al Nord i processi di desertificazione sono segnalati dal 43% degli abitanti, al Sud questo avviene per il 31% degli intervistati; le chiusure sono maggiormente percepite nelle città tra 100.000 e 250.000 abitanti, meno in quelle tra 30.000 e 100.000. Diversa è anche la percezione del fenomeno tra chi vive nei grandi e nei piccoli centri: per i primi desertificazione è sinonimo di aumento del degrado urbano, riduzione della qualità della vita e riduzione della sicurezza, per i secondi sta a indicare prevalentemente riduzione delle occasioni di lavoro, aumento del rischio di spopolamento e riduzione delle occasioni di socialità. A livello geografico, al Nord emergono con particolare forza i timori per un aumento del degrado e per il rischio di esclusione degli anziani, mentre al Sud prevalgono le preoccupazioni per i riflessi occupazionali e i rischi di spopolamento.
“Anche nell’era digitale - commenta il presidente Confcommercio, Carlo Sangalli - i negozi di vicinato sono insostituibili. Rendono le città più vivibili, più attrattive e più sicure. È necessario, però, contrastare la desertificazione che sta facendo scomparire molte attività commerciali. Occorre incentivare l’innovazione e sostenere la riqualificazione urbana attraverso un miglior utilizzo dei fondi europei”. Per Paolo Testa, responsabile Settore Urbanistica e Rigenerazione Urbana Confcommercio, “dall’indagine emergono chiaramente la consapevolezza e la preoccupazione dei cittadini sull’avanzamento della desertificazione commerciale. Uno stato d’animo tanto più evidente vista la contemporanea soddisfazione sui negozi attivi nei rispettivi comuni di residenza, soprattutto sul loro ruolo sociale”, aggiungendo come le attività economiche di prossimità “per quasi i due terzi degli intervistati rappresentino soprattutto un’occasione di incontro che rafforza l’appartenenza alla comunità, ma anche un servizio attento alle persone fragili, un presidio di sicurezza, una garanzia di cura dello spazio pubblico e un facilitatore dell’integrazione”. Un legame “talmente forte che addirittura 9 persone su 10 scelgono il quartiere in cui vivere proprio in base alla presenza di esercizi di prossimità”.
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