L’Italia, storicamente, è un Paese a trazione rossista, e se negli ultimi anni a guidare la crescita produttiva e commerciale del settore enoico sono state le bollicine, il futuro è bianco. Lo dicono i numeri, e lo confermano gli investimenti degli imprenditori del vino, che spingono in alto i prezzi dei terreni vitati anche nelle denominazioni bianchiste. Le quotazioni per un ettaro di Lugana, ad esempio, sono ormai intorno ai 250.000 euro ad ettaro, secondo stime di WineNews, e tra i 1.586 ettari vitati, divisi tra i comuni di Desenzano del Garda, Pozzolengo, Peschiera sul Garda, Sirmione e Lonato del Garda, per 15 milioni di bottiglie prodotte (l’80% delle quali finisce all’estero) ed un giro d’affari di 66 milioni di euro, tante sono le griffe della Valpolicella fulminate sulla via del Turbiana (o Trebbiano di Lugana che dir si voglia).
Come Tommasi, galassia che comprende le storiche tenute in Veneto, tra Valpolicella, Lago di Garda e Soave, Tenuta Caseo nell’Oltrepò Pavese, Casisano (Brunello) e Poggio al Tufo (Maremma) in Toscana, Masseria Surani (Manduria) in Puglia e Paternoster (Vulture) in Basilicata, che produce Lugana “da più di vent’anni, dapprima appoggiandoci a soci conferitori, poi con un piccolo vigneto, appena un ettaro, a San Martino della Battaglia - racconta a WineNews Pierangelo Tommasi, direttore commerciale estero di Tommasi Family Estates - quindi cinque anni fa abbiamo messo a punto un vero e proprio piano di crescita, con due investimenti importanti, uno adiacente al primo vigneto, l’altro sul versante di Sirmione, per un totale di 60 ettari, di cui 45 vitati, 30 già in produzione, gli altri a partire dalla vendemmia 2019. Si tratta di due zone simili, ma con qualche differenza: i terreni di Sirmione sono argillosi, e danno vini più strutturati, quelli di San Martino della Battaglia sono sabbiosi, e regalano maggiore ricchezza aromatica. Terreni ed uve che si traducono in due etichette, il San Martino, un single vineyard, e Le Fornaci, un blend, ma l’idea - continua Tommasi - è quella di allargare il portafoglio ad una Riserva, con la prima annata, la 2017, in uscita a metà del prossimo anno. Per me è un vino straordinario e versatile, dalle caratteristiche uniche, capace di unire freschezza e complessità. In totale, ad oggi, la produzione è di 130-135.000 bottiglie, che diventeranno 200.000 nei prossimi anni. Il Lugana, per noi, non è una moda, ma un vino di cui abbiamo colto importanza e potenzialità già da tanti anni, e se abbiamo deciso di puntarci in maniera importante solo cinque anni fa, è perché nel frattempo abbiamo portato avanti tanti altri progetti in tutta Italia. È stato un investimento importante, superiore agli 8 milioni di euro, ma sono sicuro che si ripagherà nel tempo, che è stato reso possibile dalla grande solidità del Gruppo e non riguarda solo i vigneti: il progetto Lugana, nei prossimi anni, vedrà la nascita di una cantina e di una struttura pensata per l’enoturismo e l’ospitalità. Starà alla nostra struttura commerciale, assai solida, accompagnerà la crescita del Lugana sui mercati esteri - continua Tommasi - a partire dai più solidi, come Germania, Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Svizzera, per puntare poi all’Asia, in particolare Giappone, Hong Kong e Cina. Ma c’è molto lavoro da fare, è una denominazione che deve ancora farsi conoscere appieno, ma che sta vivendo un momento di grande vitalità, con gli investimenti delle maggiori griffe del territorio: ora - conclude Pierangelo Tommasi - dobbiamo lavorare bene insieme, sia tra noi produttori che a livello di Consorzio”.
Precursore e pioniere, tra le griffe venete che hanno reso grande il Lugana, è senza dubbio Zenato, “con mio padre che già negli anni Sessanta ha deciso di puntare su questo piccolo territorio al Sud del Lago di Garda, tra Brescia e Verona - racconta a WineNews Nadia Zenato, a capo dell’azienda - capendo subito che per fare un grande vino ci sarebbe stato bisogno di investire sulla terra, quindi rese molto basse e grande attenzione. Negli ultimi cinque anni c’è stata una fortissima domanda, sia di impianti nuovi che di ettari vitati, ed in questo senso ricorda un p’ la dinamica vissuta qualche anno fa da Bolgheri. Dal canto nostro, siamo fieri di averci puntato in anni non sospetti, portando in giro un vitigno, il Trebbiano di Lugana, che in questi terreni perlopiù argillosi ha trovato il suo terreno perfetto, mostrando una grande versatilità: noi produciamo non solo una Lugana ed una Riserva, ma anche un metodo classico. Vogliamo che sia ovunque nel mondo, oggi lo esportiamo in 60 Paesi - ricorda Nadia Zenato - ma il mercato di riferimento è la Germania. Sta diventando di appeal, adesso dobbiamo stare attenti a non inflazionarci o a voler crescere più delle nostre reali possibilità”.
Da una griffe storica ad uno dei gruppi del vino più importanti del Belpaese in termini di produzione e fatturati: dall’estate del 2017 il Gruppo Santa Margherita ha acquisito la maggioranza di una della cantine leader del territorio della Lugana, Cà Maiol, azienda con 140 ettari vitati, ed una produzione intorno a 1,5 milioni di bottiglie. “La Lugana è una denominazione molto promettente, e noi è da tempo che tenevamo d’occhio il territorio, arrivando ad acquisire uno dei brand più importanti, Ca’ Maiol. È un territorio - racconta a WineNews l’ad del Gruppo Santa Margherita, Ettore Nicoletto - capace di esprimere vini bianchi dal carattere moderno e contemporaneo, un profilo che incontra il gusto dei consumatori di oggi, specie i più giovani, che cercano vini approcciabili e facili da bere ma non per questo meno complessi. È un piccolo territorio, una nicchia, dove ci vuole attenzione all’equilibrio della filiera ed alla distribuzione del valore all’interno della filiera stessa. In questo momento l’euforia ha portato ad un disequilibrio nella catena del valore della Lugana, molto viene trattenuto a monte e poco se ne genera a valle, nella fase commerciale. Per la sostenibilità di lungo periodo dobbiamo far sì che tutti gli operatori, dai coltivatori ai trasformatori agli imbottigliatori, trovino soddisfazione da un territorio dall’enorme potenziale, in Italia come all’estero. Noi - conclude Nicoletto - cercheremo di essere leader ed allargare gli orizzonti distributivi della Lugana, trainando il territorio”.
Tra i produttori che si sono spinti sulle sponde del Lago di Garda, attratti dalle uve della Turbiana, ci sono anche Gerardo Cesari, il Gruppo Italiano Vini, Montresor e, da inizio anno, Allegrini, con 40 ettari da vitare e 10 vitati, che aggiunge così un altro importante territorio a quelli già nell’orbita del gruppo, e che vede i 50 ettari del Lugana aggiungersi agli oltre 100 ettari di vigneti nella Valpolicella Classica, 16 ettari a Montalcino, di cui 8 a Brunello, con San Polo, e 50 ettari a Bolgheri, con Poggio al Tesoro. Con una precisazione. “Vogliamo confrontarci con questo territorio, e solo se i risultati saranno all’altezza dei nostri standard qualitativi marchieremo i vini prodotti nella Lugana con il brand Allegrini - spiega a WineNews Franco Allegrini - è una sfida interessante in una zona che vive delle dinamiche particolari: non è molto grande, vanta produttori che competono sul livello qualitativo più che quantitativo, non ci sono cantine sociali, ricorda in questo Bolgheri. Arriviamo qui con umiltà, ma il fatto che molte altre aziende hanno puntato sulla Lugana, forse ci abbiamo visto giusto. L’andamento dei prezzi dei vigneti, invece, ricorda un po’ Bolgheri o la Valpolicella, hanno una certa irrazionalità, e questa appetibilità - conclude Allegrini - è dettata sì da una reale necessità, ma anche dall’unicità di questo vino, e speriamo che lo sia anche per affrontare il mercato nella maniera più giusta possibile”.
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