Niente etichette a semaforo e niente tasse aggiuntive, all’Onu vincono la diplomazia ed il buonsenso: nel documento finale dell’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per la riduzione delle malattie non trasmissibili entro il 2030 spariscono le restrizioni verso i prodotti agroalimentari ad alto contenuto di grassi, zuccheri e sale, presenti invece nella prima stesura del documento, sotto forma di etichette a semaforo e tasse, che avrebbero colpito indiscriminatamente anche i prodotti simbolo del made in Italy, come “il Prosciutto di Parma e il Parmigiano Reggiano, ma anche l’olio extravergine d’oliva, che per qualcuno - commenta, a WineNews, il Ministro delle Politiche Agricole e del Turismo, Gian Marco Centinaio - andavano paragonati al tabacco. Ma se l’Unesco ha dichiarato a Dieta Mediterranea Patrimonio immateriale dell’Umanità, come possiamo pensare che possa far male?”. Scampato pericolo per un settore che, da solo, vale l’11% del Pil nazionale, con un volume di affari di 132 miliardi di euro nel 2017, di cui 41 miliardi dall’export, per la soddisfazione dell’intero sistema Paese, capace di fare squadra in sede internazionale e di raccogliere i frutti di uno sforzo condiviso, sotto la regia della Farnesina, con un ruolo centrale giocat dal segretario generale Elisabetta Belloni. A partire da Federalimentare, che “esprime grande soddisfazione per la cancellazione del richiamo a strumenti dissuasivi come etichettatura a semaforo (o penalizzante) e tasse per prodotti contenenti sale, zucchero o grassi”; positivo anche il commento della Coldiretti, secondo cui “è stata sventata una pericolosa deriva internazionale per mettere sul banco degli imputati i principali prodotti del Made in Italy a causa del loro contenuto in sale, zucchero e grassi anche con l’apposizione di allarmi, avvertenze o immagini shock sulle confezioni per scoraggiarne i consumi”. Come detto, dal “Political Declaration of the third high-level meeting of the General Assembly on the prevention and control of non-communicable diseases” spariscono anche gli obblighi fiscali, come la cosiddetta Stax (Sugar, tobacco and alcohol tax), con l’azione dell’Oms che si concentrerà invece sull’informazione rivolta ai consumatori, attraverso campagne mediatiche su cosa fa male alla salute e cosa no.
Una linea, quella scelta dall’Oms, che trova il consenso anche di buona parte della comunità scientifica del Belpaese, perché come spiega a WineNews Elisabetta Moro, professoressa di Antropologia Culturale e Antropologia del Cibo all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, ripercorrendo la storia dell’etichetta a semaforo, ed il suo sostanziale fallimento, “è stato inventato dagli americani negli anni Novanta, per cercare di aiutare gli adolescenti a capire quali fossero gli alimenti più calorici e dannosi per la salute. Poi è stato importato dall’Inghilterra, che l’ha ripreso quasi vent’anni dopo, e adesso arriva a noi. Era un’idea semplificata per costruire uno strumento educativo, peccato che non funzioni: negli Stati Uniti non ha dato risultati, tra gli adolescenti inglesi nemmeno, quindi sul piano tecnico ha fallito nei Paesi in cui è stato applicato”. Come se non bastasse, continua la professoressa Moro, “il semaforo non insegna a mangiare in maniera sana e ragionata, ma mette semplicemente dei divieti su alcuni cibi e dei via libera su altri, in una maniera che ben poco ha a che fare con la salute, ed ancor meno con la cultura gastronomica, e questo è ancora peggio. La cultura gastronomica, nei secoli, ha portato al sapere sulla cucina che abbiamo oggi, che è il motivo per cui la Dieta Mediterranea è salutare: non è solamente perché non ci sono certi grassi, ma perché si mangia in maniera stagionale, si seguono degli equilibri, ci sono determinati abbinamenti, si usano prodotti del territorio, si mangia e si beve insieme. Un contesto così complesso che il semaforo non può riassumerlo, anzi, si rivela deviante”. Ed a supportarne l’inefficacia della misura bocciata anche dall’Oms c’è pure una ricerca di Harvard, che la professoressa di Antropologia Alimentare definisce “illuminante. Nella caffetteria dell’Università hanno messo i semafori su tutti i cibi, in un contesto culturalmente ed economicamente elitario, osservando che l’idea piace molto, senza però modificare di una virgola i comportamenti di acquisto e di consumo. Se dobbiamo usare uno strumento del genere per migliorare le abitudini dei ragazzi, sappiamo già che non funzionerà. Il rischio - conclude Elisabetta Moro - è quello di creare consumatori incapaci di scegliere e destreggiarsi tra i prodotti, con un vantaggio sul lungo periodo per la grande industria alimentare, che potrebbe portare sugli scaffali prodotti già calibrati secondo le linee guida decise ad esempio dall’Onu”.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024