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NON SOLO “TRADE” E PUBBLICO, MA ANCHE FORMAZIONE PER LE CANTINE CHE SI AFFACCIANO SU MERCATI COMPLESSI COME QUELLO USA: ECCO LA NUOVA FORMULA DI SUCCESSO DI “VINITALY IN THE WORLD USA”, CHE HA DEBUTTATO IERI A “EATALY NEW YORK”

Italia
Divini scaffali

Aiutare le cantine italiane che vogliono cominciare il loro “sogno americano” ad imparare l’“abc” del complesso mercato Usa, per dare un valore aggiunto ad un momento che non vuole essere più soltanto un incontro, pur sempre fondamentale, dei produttori con il trade e con il pubblico. Ecco l’obiettivo della nuova formula di “Vinitaly in the World”, il tour di Vinitaly, l’evento più importante del mondo del vino che, nella nuova veste, ha debuttato ieri nell’apertura della tappa americana (25-28 ottobre) a Eataly New York, il nuovo quartier generale del wine & food italiano ideato da Oscar Farinetti nel cuore di Manhattan, esempio di un successo che racconta di come gli americani, nonostante la crisi, non abbiano mai rinunciato a tutto quello che è “italian style”, soprattutto nel bicchiere e nel piatto, tanto che “nel primo semestre 2010, negli Usa, l’Italia è tornata - spiega il direttore generale di Verona Fiere, Giovanni Mantovani - sul primo gradino del podio ed ha esportato 1.082.990 ettolitri di vino per un valore di 521 milioni di dollari, con +10,5% e +11,6%, raggiungendo una quota di mercato del 32,5% fra i vini importati”.
Bastano pochi numeri per capire l’importanza di questi incontri di formazione con grandi importatori, distributori, ristoratori e giornalisti americani, particolarmente apprezzati dai 60 produttori partecipanti ai seminari della mattina e alle degustazioni del pomeriggio: ognuno dei 50 Stati americani ha leggi diverse sul commercio di alcol. In quello di New York, che è uno dei più importanti, obbligatorio fare tre passaggi: per arrivare in enoteca o al ristorante, il vino della cantina italiana deve passare per le mani di un importatore prima e di un distributore poi, con il risultato che una bottiglia che parte a 10 dollari dalla cantina italiana, arriva sullo scaffale a 40 e al ristorante viene venduta a 90.
Per questo, hanno spiegato gli operatori americani, da Paolo Battegazzore di “Folio Wine” a Nunzio Castaldo di “WineBow”, per citarne alcuni, per le piccole cantine la qualità altissima del prodotto è ormai un pre-requisito: fondamentale cercare importatori che abbiano poi una rete di distributori adeguata e che condividano pienamente la filosofia dell’azienda, per aiutare le sue etichette a trovare uno spazio in un mercato, come quello di New York, dove ci sono più di 100 distributori, 13.400 tipi di wine & spirits, con 9.000 prodotti vinicoli, di cui 2.000 rappresentano il 90% dei guadagni, e 11.000 solo il 10%, con il nettare di Bacco che fa girare “solo” il 33% del business totale delle bevande alcoliche.
Non solo: dopo aver trovato un importatore e un distributore “ad hoc” per le esigenze della cantina, è fondamentale assicurarsi protezioni finanziare, perché spesso i piccoli distributori, che sono i più disposti verso nuove piccole realtà e nuovi vitigni, rischiano di rimanere indietro con i pagamenti. Senza contare che non si possono dimenticare misure di contrasto per le oscillazioni del cambio euro-dollaro, che in questo momento penalizzano il vino italiano, o l’importanza di essere ben posizionati nei giudizi delle classifiche dei vari “Wine Spectator”, “Wine Enthusiast” e “Wine Advocate”, che non sono totalmente discriminanti, ma possono essere un buon punto di contatto tra produttori e operatori.
Gli spazi per crescere, per il vino italiano, ci sono eccome: nel momento dedicato ai consumatori del “Vinitaly Day at Eataly”, più di mille persone hanno preso d’assalto i banchi di assaggio dei nettari tricolore, per un evento che, in poche ore, ha raccolto 33.000 dollari devoluti completamente in beneficenza alla American Cancer Society.
Fondamentale, allora che chi organizza eventi di promozione all’estero, come il “Vinitaly in the World”, si assuma sempre di più un ruolo di formazione, soprattutto per le cantine giovani, piccole e meno strutturate che voglio portare il loro vino fuori dai confini nazionali in mercati che, se non si conosco bene le regole, le convenzioni e i trend di consumo, diventano grossi rischi invece che grandi opportunità. Ed è su questo che il tour mondiale di Vinitaly punta dritto a vele spiegate.
Federico Pizzinelli

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