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Panorama Economy

Nero D’Avola e Malvasia con gli occhi a mandorla…Ha riorganizzato la distribuzione, recuperando vitigni autoctoni e puntando su bottiglie ad alto valore aggiunto. Così il brand siciliano ha battuto la crisi. Il mercato del vino made in Italy sta vivendo una fase poco brillante. A dirlo è l’indagine annuale di Mediobanca sul settore che mette in risalto un calo medio degli utili di quasi l’8% e una flessione del 27% degli investimenti. Ma non mancano le aziende in controtendenza come Tasca d’Almerita. Il marchio siciliano, giunto ormai alla settima generazione, continua a puntare sullo sviluppo, cresce nei ricavi a doppia cifra e mantiene l’utile intorno al 10% del fatturato.
Risultati ottenuti cavalcando il boom dei vini del Sud (che in questo momento vanno di moda) ma consolidati da iniziative azzeccate.
Come il colpo d’acceleratore dato dall’espansione estera, che ha consentito al brand siciliano di rafforzarsi nei 64 Paesi che raggiunge con i suoi vini. «Nei momenti di contrazione economica internazionale bisogna lavorare a 360 gradi ed essere molto dinamici» sottolinea il giovane amministratore delegato (33 anni) Alberto Tasca d’Almerita, figlio del conte Lucio. Così l’azienda ha riorganizzato la rete distributiva, differenziandola in base alle esigenze di ciascuna area. «nel Far Est, che è appena agli inizi, ma presenta consumi potenzialmente enormi, ci siamo consorziati con altre aziende per ridurre i costi» dice Tasca d’Almerita. «In Russia, invece, ci appoggiamo a un importatore locale». Altra mossa vincente è stata quella di togliere dal listino i due vini di fascia più bassa (il Novello e il Bianco Villa Tasca) che rappresentano circa il 10% dei volumi di vendita, per concentrarsi su quelli a maggior valore aggiunto. In parallelo, dopo aver introdotto in Sicilia i vitigni internazionali come lo Chardonnay e il Cabernet Sauvignon,Tasca d’Almerita ha riportato alla ribalta quelli autoctoni: Nero d’Avola, Inzolia e Catarratto. Proprio la voglia d’innovare ci ha portato ad acquisire una tenuta nelle isole Eolie, a Salina». Sei ettari, sui quali l’azienda ha investito 3,5 milioni di euro e che sanciscono l’ingresso di tasca d’Almerita nel turismo: oltre ai vigneti della Malvasia delle Lipari, ospitano, infatti, anche un villaggio di lusso, il Capofaro Malvasia&Resort.

Dal 1830 tra i bianchi di Regalali

Di proprietà della famiglia d’Almerita dal 1830, la Tenuta di Regaleali comprende 520 ettari, dei quali circa 400 coperti da vigneti. Da qui nascono quasi 3 milioni di bottiglie l’anno, per il 40% dirette oltreconfine, con in testa Germania e Usa come destinazioni. Ma la quota esportata dall’azienda dovrebbe essere portata nel giro di qualche anno al 60%. Il fatturato consolidato dell’azienda si avvicina oggi a 15 milioni di euro e il nuovo business del turismo contribuisce per circa 1 milione fra i vini, invece, il prodotto venduto è il regaleali bianco 81 milione di bottiglie l’anno), ma quelli che vantano il tasso di crescita più elevato sono il bianco Leone d’Almerita, realizzato principalmente da uve Catarrato coltivate a un’altitudine di 900 metri, e il rosso Lamùri, un nero d’Avola il cui nome significa in siciliano «amore».

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