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Panorama Economy

La mia cantina è in gara ... Il signore del vino. Parla Gianni Zonin, presidente dell’azienda vinicola di Vicenza. Il primo produttore italiano di vino punta ai 100 milioni di giro d’affari e a una quota export del 50%. Senza trascurare la vecchia passione per il mondo del credito, ma tenendosi lontano da politica e giornali. Intanto ha iniziato a pensare al passaggio del testimone: due figli sono diventati vicepresidenti. E fra un po’ dovrà scegliere il suo successore...
Fra pochi giorni Gianni Zonin festeggerà il suo compleanno: 69 anni. Ma il primo produttore di vino italiano (3.600 ettari di tenute, di cui 1.700 a vigneto, con un fatturato attorno ai 75 milioni di euro) il brindisi più importante lo ha fatto qualche settimana fa. Quando ha promosso i due figli, Domenico e Francesco, al vertice del gruppo, nominandoli vicepresidenti con ampi poteri. Un passo decisivo sulla strada del ricambio generazionale, in una famiglia che da due secoli produce bianchi e rossi a Gambellara, in provincia di Vicenza.
L’impero Zonin oggi significa 11 tenute in sette regioni. Pensa a nuovi acquisti? Dobbiamo consolidare ciò che abbiamo. Ecco perché stiamo terminando la ristrutturazione della tenuta in Maremma di 420 ettari e quella di una masseria in Puglia con 300 ettari. 
Quindi, è pronto a firmare altri assegni.
Fino al 2008 saremo impegnati con lavori di restauro. Non dimentichi che un impianto di vigneto costa tra i 50 e i 75 mila euro a ettaro. Sono tanti soldi. 
Ma lei non voleva comprare tenute anche nelle Marche e in Abruzzo?
L’intenzione resta.
E all’estero?
Siamo in Virginia, non ci muoviamo. Non si può fare tutto in una volta.
Però l’export è ancora basso.
Voglio arrivare al 50% del fatturato.
Quale fatturato?
Adesso siamo a 75 milioni, entro i prossimi tre anni supereremo la soglia dei 100 milioni. La metà all’estero.
Quali sono i mercati più interessanti?
I Paesi dell’Est Europa. Mentre il Far East continua a dare gioie e dolori.
Perché?
È un mondo dove i consumatori non sanno ancora bene che cosa sia il vino. Manca una cultura di base su questo prodotto e ci vorrà tempo per crearla.
Come fa a seguire 11 tenute insieme?
Metodo. La mattina, tra le 7 e mezzo e le 8 e mezzo, parlo con tutti i direttori delle tenute. E almeno una volta al mese li vado a trovare.
Il settore del vino in Italia è troppo frammentato. Giusto?
Sacrosanto. Ma resterà così a lungo, molto a lungo.
È pessimista.
Sono realista. E mi sono fatto il callo: ai miei figli racconto sempre che, per fare un’azienda in Piemonte, ho dovuto mettere insieme gli acquisti dei terreni di 153 piccoli produttori. E ho firmato 132 atti davanti al notaio.
Piccolo, anche nel vino, non sempre è bello.
Qualche giorno fa ho letto i numeri dei produttori australiani, sempre più aggressivi in tutto il mondo. Bene: in Australia i tre player più grandi controllano l’80% del mercato; io sono il numero uno in Italia e a stento arrivo all’1%. Il problema delle dimensioni è una delle palle al piede del made in Italy...
...Passiamo al capitolo famiglia. Lei ha fatto spazio alla settima generazione, cioè quella dei suoi figli.
Ho appena fatto un primo, importante passo indietro.
Come?
Domenico e Francesco, due dei tre miei figli, sono diventati entrambi vicepresidenti. Con deleghe.
E il terzo?
Michele ha 21 anni e studia all’Università Bocconi. Ma spero che entrerà in azienda nel 2008.
Anche lui vicepresidente?
Non penso proprio. I «galloni» di generale bisogna meritarseli sul campo, non riceverli per investitura familiare.
Lei come ha iniziato?
Mio zio mi fece fare l’operaio. Per tre, lunghissimi mesi.
Vediamo più da vicino il suo «passo indietro», allora.
Domenico si occupa dei prodotti, Francesco della parte commerciale. Se Michele se la caverà, gli spetterà la parte amministrativa e finanziaria.
È uno schema da “divide et impera”.
No. E' uno schema in base al quale, ogni giorno, i figli avanzano e il padre arretra. Non mi sento anziano, ma ho l’età di chi inizia a cedere il passo. Lentamente.
Possiamo definirla un padrone-accompagnatore.
Un presidente-accompagnatore.
E chi sarà il nuovo capo azienda?
Bella domanda.
Mi dia la risposta.
Non Lo so, per il momento li ho messi in campo. E il capo azienda sarà chi mostrerà le migliori qualità di coordinamento dell’azienda, a 360 gradi.
Anche in questo caso, niente nomi.
Sarebbe assurdo. Perché è presto e abbiamo tutto il tempo prima di prendere le nostre decisioni.
Oltre ai poteri, ha ceduto le quote?
Non ancora.
Farà tre parti uguali?
Ci devo riflettere. Guardi che, per un imprenditore, una delle cose più belle è garantire la continuità dell’azienda. E in Italia non è facilissimo.
Troppa sovrapposizione tra la famiglia e l’azienda.
Infatti, servono delle soluzioni.
Sta pensando a una Fondazione, come alcuni suoi colleghi veneti?
E' una possibilità.
Non ha scritto neanche un patto di sindacato?
Nulla.
Lei ha già firmato un assegno per una parcella allo studio Ambrosetti?
Senza presunzione, la soluzione maturerà nella mia testa e mi basterà il contributo di qualche professionista che ha già lavorato per noi. Il percorso mi è chiaro, ma c’è una variabile decisiva....
Quale?
Molto dipenderà dalle decisioni di chi ci governa e del Parlamento.
Torniamo a Prodi.
Restiamo all’Italia: la tassa di successione, per le aziende, è un furto. E mi assumo la responsabilità di quello che dico.
E allora?
Mi auguro che ci siano decisioni chiare per eliminare questo che chiamo un «furto». Il governo Prodi, per esempio, ha fatto bene a prevedere l’esenzione delle imposte per il trasferimento delle quote ai figli che conducono l’azienda e non cedono le loro quote (per un minimo di cinque anni, ndr). E' solamente un primo passo sulla strada giusta.
Lei è un tifoso della famiglia in azienda.
Senza le famiglie, il capitalismo italiano non esisterebbe. Certo, non dobbiamo cadere nella trappola di considerare i membri della famiglia degli eletti divini in grado di governare l’azienda. Tutto va misurato sul campo, giorno dopo giorno.
E la quotazione in Borsa?
Ho esaminato anche questa possibilità. Con la massima apertura mentale.
Però l’ha scartata.
Il vino è un settore dove non ci sono né i margini né la visibilità dei piani industriali per andare in Borsa. Non a caso, aziende quotate in Italia non si vedono. Mica è un capriccio!
Lei potrebbe essere l’eccezione che conferma la regola.
Potrei. Ma ci voglio pensare cento volte, prima di decidere.

Un fatturato di 75 milioni per 550 addetti...
Le attività della famiglia Zonin nel settore della produzione vinicola sono cominciate nel 1821 a Gambellara (Vicenza), grazie agli antenati dell’attuale presidente Gianni Zonin. Dal 1921 è stata guidata da Domenico, zio di Gianni, che iniziò ad acquistare uve e vini anche da altri produttori e a vendere i suoi prodotti nelle province di Verona e Padova. Gianni Zonin ha assunto la presidenza nel 1967 e ha poi esteso la presenza del marchio anche in altre regioni. Oggi Zonin possiede vigneti e tenute in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Toscana, Sicilia e Puglia, e negli Stati Uniti a Barboursville in Virginia, per un totale di oltre 3 mila ettari di terreno, di cui 1.800 coltivati a vigna. Nel 2006 ha fatturato 75 milioni, vendendo oltre 23 milioni di bottiglie, per il 40% all’estero, dove opera in circa 70 nazioni. Ha 550 dipendenti…

Tra vigneti e banche...
Laurea in legge - Nato il 15 gennaio1938 a Gambellara (Vicenza), Gianni Zonin si è diplomato all’istituto enologico di Conegliano Veneto (Treviso) e ha ottenuto la laurea in giurisprudenza.

Le redini dell’azienda - È presidente dal 1967, quando l’azienda diventa spa. Guida l’espansione in Italia e all’estero. Vicepresidenti sono oggi i figli Domenico (32 anni) e Francesco (31).

Le onorificenze - Dal 1996 è presidente della Banca popolare di Vicenza, membro del comitato esecutivo Abi e presidente della Cassa di Prato.


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