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Panorama Economy

Le donne che fecero l’impresa ... Oggi le “vignaiole” sono 800 mila in Italia. Spesso sono giovani, tutte sono agguerrite e amanti della loro terra: e molte hanno creato aziende di successo. Ecco nove storie di cantine al femminile... Tratti delicati, sensuali, e uno sguardo penetrante: il Bacco del nuovo Millennio non è un dio, ma una dea. Anzi, tante. Infatti, su 800 mila imprese vitivinicole italiane, il 30% è gestito da donne, una situazione ben diversa da quella di appena vent’anni fa, quando le “vignaiole” si contavano (quasi) sulle dita delle mani.

E alcune imprenditrici hanno anche in comune un’associazione tutta al femminile, chiamata le “Donne del vino” e guidata da Pia Donata Berlucchi, affiancata dalle vicepresidenti Chiara Lungarotti e Maria Cristina Ascheri. Ma ce ne sono altre che di associazioni “rosa” proprio non vogliono sentire parlare. “Quando ce ne sarà una maschile, allora forse m’iscriverò a quella femminile” dice fiera la pisana Ginevra Venerosi Pesciolini.

Tutte, comunque, sono accomunate dall’amore per la terra che le ha portate a dedicarsi anima e corpo all’azienda. Oppure sono veri e propri ritorni a casa, perché molte imprenditrici hanno preso le redini dell’azienda di famiglia, lasciando attività già avviate. Altre ancora, invece, hanno creato la loro azienda dal nulla e ora guidano imprese davvero uniche. E, quasi sempre, sono testimonial di se stesse.

Testimonial dell’azienda. Sarà soltanto una coincidenza, eppure queste “donne del vino” non sono solo forti e intelligenti, ma anche belle, affascinanti e inclini all’arte della comunicazione. E il caso di Vinzia Novara, volto e immagine della casa vinicola Firriato, che fondò con il marito Salvatore Di Gaetano negli anni Ottanta a Paceco, in provincia di Trapani. E dove stanno ristrutturando un antico baglio con cui entreranno anche nel business dell’ospitalità. E diventata la miglior testimonial dell’azienda di famiglia anche José Rallo, figlia del fondatore di Donnafugata, tre cantine tra Palermo e Pantelleria. Appassionata di canto, Rallo ha unito al talento musicale quello imprenditoriale e con il marito - e percussionista
- Vincenzo Favara gira il mondo sulle note di Donna Fugata music & wine: dal Blue Note di New York al Four Seasons di Shanghai, può capitare di incontrare lei e la sua band, come anche in locali dove guida delle esperienze multisensoriali tra vino e musica. “Abbiniamo ogni nostro vino al brano musicale che più gli si avvicina: un terroir sensuale e avvolgente, per esempio, ben si sposa con la samba”.

L’impegno come imprenditrice è stato anche premiato con la nomina nel consiglio d’amministrazione del Banco di Sicilia: lei e l’imprenditrice Maria Luisa Averna sono state le prime donne a entrare nel cda in 140 anni d’attività del Banco. E pensare che Rallo aveva un rapporto d’amore e odio con la sua terra, tanto da lasciarla negli anni Ottanta, “perché dura verso le donne e verso chi rispettava le regole. Sono tornata per amore di mio marito”. Una figura maschile è stata fondamentale anche per Elisabetta Geppetti, alla guida della Fattoria Le pupille, in provincia di Grosseto. “L’ho ereditata da mio suocero ed è proprio lui ad avermi insegnato tutto, dall’acquisto dei trattori migliori alla gestione dei clienti. Da lui ho avuto un’altra eredità impagabile: l’enologo Giacomo Tachis” dice a Economy Geppetti. La cosa più difficile degli esordi? “Farsi prendere sul serio dagli uomini”. E oggi, su dieci dipendenti fissi, quasi tutti sono donne e grazie alloro lavoro di marketing, oltre che per il suo Morellino, si è fatta conoscere in tutto il mondo. Le 500 mila bottiglie prodotte ogni anno sono vendute per il 49% all’estero: soprattutto in Germania, Belgio, Svizzera e Stati Uniti.

Affari di Famiglia. Deve all’export il suo successo anche l’aretina Monica Moretti:
quasi 1’80% della produzione del suo Feudo Maccari, in Sicilia, raggiunge i mercati internazionali. Classe 1972, Moretti ha costruito tomolo dopo tomolo (cioè l’unità di misura siciliana, pari a 1.744 metri quadrati) l’azienda, supportata economicamente dal padre Antonio, imprenditore della moda: padre e figlia hanno messo insieme i terreni di più di cinquanta proprietari e oggi, a Noto, producono Nero d’Avola. “Non è stato come cominciare da zero, però, perché il mio asilo è stata la Tenuta Sette ponti, in Toscana, e il mio maestro nonno Alberto”.

La sua influenza è stata tale che Monica cominciò a seguire le tenute di famiglia in Toscana non ancora ventenne. “Quando mio nonno è morto, mio padre ha cominciato a trasformarle. Io non riuscivo ad accettare questi cambiamenti” dice Moretti “finché mi resi conto che modernizzare non significava abbandonare la qualità, tutt’altro”.

È un’altra Moretti - ma è solo un caso di omonimia - quella che gestisce in Maremma una delle cantine più famose d’Italia, Petra, progettata dall’architetto svizzero Mario Botta. Il compito di seguire Petra è stato affidato a Francesca Moretti dal padre Vittorio nel 1997, quando aveva 23 anni. Da quel momento Francesca non ha più lasciato l’azienda: è lei a gestire i quattro marchi di famiglia, appartenenti alla holding Terra Moretti, e cioè Bellavista e Contadi Castaldi in Franciacorta, Petra e La Badiola in Maremma, vicino a Bolgheri. “Il prossimo obiettivo è realizzare un grande progetto appena avviato e che porterà a forti sinergie tra le quattro cantine e i loro prodotti”. Il resto è ancora top secret. Ha iniziato giovanissima anche Chiara Lungarotti. Aveva solo 21 anni nel 1992, quando cominciò a occuparsi dell’azienda di famiglia, mentre studiava agraria all’Università di Perugia. Oggi amministra le cantine Lungarotti, fondate dal padre Giorgio a Forgiano (Perugia), un’azienda da 12 milioni di euro di ricavi e più di 2,6 milioni di bottiglie l’anno. Accanto a Chiara, ci sono altre due donne:
la sorella Teresa Severini, enologo e vicepresidente di Confindustria Perugia, e la madre Maria Grazia, che guida la Fondazione Lungarotti, alla quale fanno capo il Museo del vino e il Museo dell’olivo e dell’olio.

Impegno culturale. L’impegno nelle istituzioni e nel sociale è proprio un affare di famiglia, perché anche Chiara è vicepresidente dell’associazione “Donne del vino” e presidente del movimento “Turismo del vino”, con il quale in questi giorni è impegnata nell’organizzazione di “Calici di stelle”, un evento in cui tante cantine si apriranno al pubblico nella notte di San Lorenzo, il 10 agosto. Altrettanto impegnata nel promuovere la cultura del vino è Marialda Avallone. Tra le fondatrici del “Turismo del vino” e anima delle “Donne del vino” a Caserta, è concentrata nell’organizzazione di un evento che si terrà a settembre a VillaMatilde, lazienda vinicola casertana fondata dal padre Francesco. Marialda la gestisce, affiancata dal fratello Salvatore, fin dal 1984: da quel momento lei è diventata la “paladina del Falerno nel mondo”. Suo padre, infatti, negli anni Settanta riportò in vita l’antico cru, distrutto dalla fillossera, grazie a una collaborazione con la facoltà di agraria di Napoli.

La storia di Marialda ricalca un po’ quella del padre, perché anche lei ha passato la prima parte della sua vita nella carriera diplomatica. Ma l’amore per la storia di famiglia l’ha riportata a Villa Matilde e ora è proprio negli ambienti diplomatici che il suo vino ha più successo, dato che si trova sulle tavole della presidenza della Repubblica, delle ambasciate italiane, ma anche di sultani arabi. “Le cose non sono mai state facili: ho sacrificato la mia vita privata e lottato per sopravvivere agli scandali che hanno colpito il settore, puntando sulla qualità”.

E quel che dice anche Ginevra Venerosi Pesciolini, anima della Tenuta di Ghizzano (Pisa). Una scelta etica ha guidato la sua “rivoluzione”: nel 2003 ha avviato la conversione a biologica dell’azienda. “E’ stata una decisione molto ponderata, perché sapevo che sarebbe stato difficile portare avanti la produzione senza prodotti chimici”. E Ginevra è così convinta d’aver fatto la scelta giusta che sta convertendo l’azienda al biodinamico. La differenza col biologico sta nell’obbligo di autoprodurre tutto. “E’ un’evoluzione naturale per chi fa biologico, ma mi ha aiutata sapere che i miei collaboratori condividono la scelta”.

E proprio nella nicchia il segreto del successo dei vini italiani, secondo la “signora del Brunello” Francesca Colombini Cinelli, ancora attiva nella Fattoria dci Barbi a Montalcino (Siena). “L’italia è un Paese piccolo, ma con innumerevoli tesori. La nicchia vince, com’è successo al Brunello”. E se anche si perde qualche battaglia, l’importante è “vincere le guerre, ma dobbiamo controllare meglio i prodotti vincenti”. Adesso ci sono i suoi figli al comando: Stefano guida la Fattoria dei Barbi, Donatella la Fattoria del Colle di Trequanda (Siena) e la Fattoria del Casato a Montalcino. E lei si dedica alla scrittura con il libro Il vino fa le gambe belle. Non solo quelle.

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