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Panorama Economy

Prima e Dop ... Dal 1° agosto spariranno Denominazioni d’origine controllate e garantite, mentre le verifiche saranno sottratte ai consorzi. E sulla promozione cadrà una pioggia di milioni, sui quali si sta già litigando. Le nuove regole dell’Unione Europea rivoluzionano il settore. Che dal 2 al 6 aprile va in passerella al Vinitaly di Verona... Per favore, non chiamatelo più Doc. Il vino italiano si prepara a cambiare identità. Dal 1° agosto tutte le nuove denominazioni di origine controllata passeranno sotto il regime delle Dop (Denominazione di origine protetta) e verranno gestite direttamente da Bruxelles. È la principale novità introdotta dall’Organizzazione comune del mercato vitivinicolo europeo, quell’Ocm che promette di rivoluzionare il sistema italiano: dalla vigna al bicchiere.

Alla vigilia del Vinitaly, tradizionale appuntamento veronese per il mondo dell’enologia, e dopo due anni di gestazione, la riforma varata dai ministri europei entra nel vivo, anche se diversi dettagli nel nostro Paese sono ancora da mettere a punto. “E una riforma che non abbiamo condiviso, ma ereditato” afferma il ministro delle Politiche agricole Luca Zaia “tuttavia siamo riusciti a
porre rimedio alle maggiori criticità”.

Il nuovo quadro è stato delineato nel Programma nazionale di sostegno che da qui al 2014 riverserà sul vino oltre 1,8 miliardi di euro di fondi Ue. Per ora, il passaggio delle Doc e delle Docg (Denominazione di origine controllata e garantita) nel registro delle Dop e dei vini a Indicazione geografica tipica (Igt) in quello delle Igp (Indicazione geografica protetta) non cancellerà le nostre abitudini: per esempio il Chianti continuerà a fregiarsi del Doc. come tutte le altre denominazioni tradizionali. Era necessario? Secondo Paolo Castelletti, segretario generale dell’Unione italiana vini, “la riscrittura delle denominazioni risponde all’esigenza della filiera vitivinicola di difendere le produzioni italiane sui mercati internazionali”.

Risolto un problema, però, se ne aprono altri mille, perché le denominazioni dovranno essere sottoposte a un rigido sistema di controlli. E se le verifiche sulle indicazioni geografiche saranno assicurate dall’Istituto di certificazione qualità (Icq) del ministero, si sta scatenando una battaglia su chi dovrà mettere i sigilli di garanzia alle bottiglie, visto che Bruxelles non si fida più dei consorzi di tutela e ha chiesto di individuare un nuovo “soggetto terzo”.

In ordine sparso. La Regione Siciliana ha affidato l’incarico all’Istituto vite e vino; in Campania si sta muovendo l’Istituto mediterraneo di certificazione; in Puglia i controlli dovrebbero spettare alla Camera di commercio di Taranto, che però è commissariata. In gara c’è anche Valori Italia, organismo di controllo nato sotto l’egida di Federdoc, l’associazione che raccoglie circa 100 consorzi di tutela su 130. “Abbiamo l’impegno di 42 consorzi per 85 denominazioni” afferma Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Valori Italia e di Federdoc. Ma il doppio ruolo dei consorzi, ovvero la mancanza di terzietà, non convince tutti. “Siamo ancora in una fase preliminare” afferma Piero Antinori, il wine maker italiano più conosciuto al mondo. “Ma è bene sgombrare il campo da ogni conflitto di interesse potenziale”. Anche perché i costi dei controlli, stimati sui 10 centesimi a bottiglia (circa 200 milioni di euro per le Doc) si scaricheranno su viticoltori, vinificatori e imbottigliatori.

In Italia ci sono circa 130 consorzi che controllano 354 denominazioni. “Sono troppe” ammette Curbastro. “Circa 120 denominazioni coprono l’80% del totale”. Il dato è allarmante: il mercato è troppo frammentato e per 150 Doc e Docg i consorzi sono di fatto inattivi. E non a caso questi organismi escono fortemente ridimensionati dalla nuova organizzazione del mercato voluta dai tecnici di Bruxelles. “Ma noi continueremo a tutelare il territorio e a garantire la produzione” afferma Ezio Maiolini, presidente del Consorzio Franciacorta.

Una delle poche prerogative che resteranno in capo ai consorzi sarà quella di vigilare sui disciplinari, vale a dire il rispetto delle procedure di produzione. Patrizio Cencioni, a capo del Consorzio del Brunello di Montalcino, fa buon viso a cattivo gioco. “La mission del consorzio cambierà: concentreremo gli sforzi per la valorizzazione e la promozione del Brunello nel mondo”.


Meno controlli, più spot. È l’altra faccia del problema, perché se i consorzi entrano a pieno titolo nella corsa ai fondi europei per la promozione del vino sui mercati internazionali. Per il 2009 il budget di 7 milioni destinato alla promozione è già stato spartito, senza particolari patemi. “Il 70% andrà alle Regioni in base alla loro spesa storica, il restante 30% verrà gestito dallo Stato” afferma Riccardo Deserti, direttore generale del ministero delle Politiche agricole. “Per gli anni a venire, le Regioni devono trovare un accordo sul criterio di riparto entro l’estate”.

Nei prossimi sei anni, la promozione sarà oggetto di una vera e propria pioggia di denaro dalla Ue: 380 milioni. E nessuno vuol
perdere il treno delle ricche sovvenzioni comunitarie. Regioni in testa. “La pressione è foltissima” dice Piero Mastroberardino, presidente dell’omonima azienda campana. “Le amministrazioni regionali fanno valere tutto il loro peso nella Conferenza Stato-Regioni, la stessa che ha approvato il programma di sostegno per il settore”.
È un business gigantesco che porta in giro per il mondo Ice, Regioni, camere di commercio, consorzi, associazioni imprenditoriali e privati. I produttori non nascondono le perplessità: “Se le Regioni non sapranno coordinarsi con il ministero, c’è il
rischio di disperdere un’azione mirata sui mercati internazionali” sottolinea Castelletti.
Il rischio c’è. Il 27 marzo l’assessore all’Agricoltura della Sicilia ha firmato una convenzione con il Commercio estero e con l’Ice che stanzia 3,2 milioni in due anni per progetti di internazionalizzazione della filiera agroalimentare siciliana. Al vino sono destinati 570 mila euro nel primo anno, con tour di degustazione in Canada, Russia, Svizzera e Polonia. In Puglia la Regione ha stanziato 3 milioni per promuovere le bontà locali nei mercati dell’Est e in Cina.
E c’è chi si muove da solo. In Sicilia,
Giuseppe Polizzotti della Tenuta Fondo Antico di Trapani, ha scovato un bando europeo che finanzia fino al 70% della spesa di promozione. “Pensiamo di investire circa 80 mila euro in un anno” dice Polizzotti. Anche in Puglia ci s’ingegna e dove non arrivano i consorzi ci pensano i privati. L’idea è venuta a Luigi Rubino, che assieme a cinque aziende ha costituito il Consorzio Puglia best wine. “Abbiamo presentato un progetto per il 2009 che punta a far conoscere il territorio e i prodotti pugliesi ai mercati polacco, ceco e cinese” dice Rubino. “Vogliamo essere ambasciatori della nostra terra”.

Il ministero corre ai ripari. “Per non disperdere le risorse” dice Deserti “abbiamo concordato con le Regioni che una quota dei fondi sarà destinata a un premio aggiuntivo del 10% per progetti multiregionali”. L’obiettivo è chiaro: evitare di frammentare l’offerta all’estero.
Forse è anche per questo che lo stesso ministero ha rimesso in moto Buonitalia, rispolverando i 50 milioni assegnati con la Finanziaria 2005. Il lavoro che attende Walter Brunello, presidente di Buonitalia, non è facile: “Dobbiamo fare sistema. Il compito che il ministro Zaia ci ha affidato è quello di agire da cabina di regia per la promozione della filiera agroalimentare” dice Brunello. “Il 15 aprile presenterò al ministero il programma triennale”. I primi obiettivi del 2009 saranno quelli di conquistare Usa, Giappone e Russia.

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