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Panorama Economy

Un export di alta qualità ... Con il 70% del fatturato destinato ai mercati esteri, l’azienda veronese è il fiore all’occhiello della nostra produzione vitivinicola. Confermato anche dai risultati positivi delle vendite nel 2011: +10 % in Italia, +15% nel mondo … Una bottiglia di vino su cinque, nel mondo, è italiana. E per la prima volta quest’anno si è venduto più all’estero che in patria: su 40,3 milioni di ettolitri di produzione complessiva del 2011, si stima che almeno 23 milioni entro fine anno saranno consumati fuori dai confini nazionali.
Soprattutto negli Stati Uniti, i nostri clienti più affezionati, poi in Germania, Svizzera e Inghilterra. “America e Regno Unito rimangono i mercati più importanti” conferma a Panorama Economy Paolo Sartori, quarta generazione di imprenditori alla guida dell’azienda vitivinicola di Verona assieme ai cugini Andrea e Luca. “L’esportazione per noi vale il 70% del fatturato e fa parte, da sempre, della nostra vocazione: portare nel mondo i vini classici del territorio”. Dal Valpolicella al Soave, dall’Amarone al Bardolino. Tutti però interpretati in chiave elegante e personalizzata, con un occhio di riguardo al gusto dei consumatori stranieri. Gli acquirenti, infatti, non sono solo americani e inglesi: gli ordini arrivano da più di 50 Paesi tra Europa, Russia, Sud America e Sud-Est Asiatico. Un mercato attento alla qualità, ma anche al prezzo. “Con le nostre etichette di punta, come Regolo Valpolicella Superiore Doc Ripasso e Marani Bianco Veronese lgt, esportiamo non solo il nostro brand ma quello del territorio”. Insomma, se i consumi italiani calano, il vino italiano, uno dei pilastri dell’agroalimentare con un giro d’affari annuo stimabile attorno ai 13,5 miliardi di euro, più 2 miliardi di indotto, trova la sua rivincita sulle tavole del mondo. E deve affrontare nuove sfide. Innanzitutto la qualità. Se siamo primi per volumi, i francesi ci battono in valore. E allora serve una promozione mirata alla qualità in modo da incentivare la domanda di bottiglie certificate da parte dei nostri maggiori acquirenti stranieri. Solo così si potrà incrementare la quota dell’export in valore. “Rispetto ad altri Paesi produttori come Cile e California, che hanno una offerta limitata a Chardonnay e Cabernet, Merlot o Syrah” continua Paolo Sartori “noi possiamo contare su più vini autoctoni con produzioni particolari. Certo che loro hanno budget di comunicazione enormi, basti pensare che in Australia tre aziende coprono da sole 180% della produzione per capire le loro dimensioni”. Insomma, quello che fa la forza di questi Paesi è la potenza di fuoco quando si tratta di fare promozione. E siamo alla seconda sfida per i produttori divini italiani: ampliare gli investimenti in marketing e comunicazione. Perché il controllo qualità è nulla, verrebbe da dire, senza una identità ben definita. Ecco perché è fondamentale costruirsi una immagine. “È quello che facciamo, unendo le forze nel consorzio Italia del gusto e grazie al supporto della rinata Ice” ci conferma Sartori. Poi ci anticipa la chiusura dell’anno. E sembra che la crisi non sia passata dalle colline alle spalle di Negrar, una manciata di chilometri a nord di Verona. “Più 10 per cento le vendite in Italia, la maggior parte nel canale della grande distribuzione e in piccola parte, il 20%, nel tradizionale. Ma siamo andati ancora meglio all’estero, dove cresciamo del 15%”.

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