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VITICOLTURA

Per fare il vino buono serve l’acqua giusta (ma anche la siccità) al momento giusto in vigna

La ricerca dell’Università di Pisa pubblicata sulla rivista “Frontiers in Plant Science”, premiata dalla Società di Ortoflorofrutticoltura Italiana
ACQUA, SICCITA', UNIVERSITÀ DI PISA, VIGNA, vino, Italia
Per fare il vino buono serve l’acqua giusta al momento giusto (ph: wirestock su Freepik)

Nella vita, in ogni campo, il tempismo è fondamentale. Anche in agricoltura, e più che mai in viticoltura. E se è convinzione diffusa che le condizioni di stress, quando superate, consentano alla vite di esprimere il meglio delle sue potenzialità, come raccontato tante volte, a chiusura di annate che si annunciavano complesse, se non potenzialmente catastrofiche, e poi risolte in maniera più che positiva sotto il profilo qualitativo delle uve, ora c’è chi ha messo questo nero su bianco con una approfondita ricerca scientifica, la cui sintesi più semplice è che “per fare il vino buono serve l’acqua giusta, al momento giusto”. Lo sostiene una ricerca, condotta al Dipartimento di Scienze Agrarie Alimentari e Agro-Ambientali dell’Università di Pisa, pubblicata sulla rivista “Frontiers in Plant Science”, che ha recentemente ricevuto il Premio SOI-Patron dalla Società di Ortoflorofrutticoltura Italiana, il cui primo autore è Giacomo Palai, e che fa parte di una più ampia attività di ricerca condotta nel Precision Fruit Growing Lab, coordinato dal professore Giovanni Caruso e nel Laboratorio di ricerche viticole ed enologiche, coordinato dal professore Claudio D’Onofrio.
Da cui emerge, per esempio, che “la siccità aiuta a migliorare la qualità e il colore delle uve di Sangiovese, vitigno toscano per eccellenza, ma solo se lo stress idrico è imposto in alcune fasi specifiche della maturazione e secondo precise intensità. I risultati ottenuti hanno evidenziato per la prima volta come la combinazione fra intensità e momento di applicazione del deficit idrico influenzi significativamente l’accumulo e il profilo specifico di antociani e flavonoli nelle uve”, spiega Giacomo Palai; in particolare, secondo lo studio, un moderato deficit idrico prima dell’invaiatura (quando l’acino è ancora verde, da giugno sino a metà luglio) aumenta la quantità di flavonoidi nell’uva, mentre un severo stress idrico post-invaiatura (da metà luglio sino alla raccolta) influenza la colorazione degli acini, e quindi del vino, rendendoli più scuri e vicini alle tonalità del blu.
“Lo stress idrico come strumento per gestire il contenuto fenolico - continua Palai - è molto importante soprattutto per il Sangiovese in Toscana, che spesso risulta un po’ troppo scarico. In questo modo invece si ottengono vini con colore e fenoli più importanti, simili agli standard dei vitigni internazionali”.
“Negli ultimi anni la viticoltura nazionale sta vivendo un periodo di forte pressione dovuto ai cambiamenti climatici con minori precipitazioni e periodi di siccità più lunghi che mettono a rischio la qualità delle uve soprattutto nelle aree maggiormente vocate - aggiunge il professor Giovanni Caruso - in questo contesto, lo sviluppo dell’irrigazione di precisione e di specifici protocolli per gestire il deficit idrico sono strumenti essenziali per mantenere e aumentare la qualità delle uve, sfruttando e volgendo in positivo condizioni potenzialmente critiche”.

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