Tra viaggi domestici ed internazionali, negli ultimi 3 anni, la quota di turisti che ha viaggiato per l’enogastronomia varia dal 60% in Regno Unito al 74% in Francia, con un aumento, dal 2016 (primo anno del Rapporto, ndr) tra i 15 a 28 punti percentuali. E il Belpaese è associato principalmente come destinazione del viaggio a “cibo e vino”, citati dal 55% dei tedeschi e degli svizzeri/austriaci e dal 54% degli statunitensi; solo tra i francesi che scelgono l’Italia prevalgono i monumenti storici (50%). Nella scelta della destinazione, contano soprattutto la bellezza del paesaggio rurale (oltre l’80% in tutti i mercati, con un massimo dell’88% in Francia) e la presenza di ristoranti locali (81% in Francia, 79% negli Usa). Gli americani attribuiscono più valore a esperienze tematiche (69%) e ristoranti gourmet (59%). Esperienze che vanno dai ristoranti locali (68% per i francesi, 71% per austriaci e tedeschi) alle visite in cantina (fino al 36% per austriaci e svizzeri), seguite da caseifici (34% per i francesi) e birrifici (25% per i francesi, 26% per gli americani). Le principali motivazioni per scoprire l’enogastronomia, sono provare nuove esperienze (52% in Uk e Usa) e arricchire il proprio bagaglio culturale (34% in Francia), seguite dal divertimento (36% in Usa), mentre i francesi si distinguono, ancora una volta, nel vedere l’enogastronomia come occasione per concedersi un lusso (36%), e tedeschi e svizzeri/austriaci per immergersi nei paesaggi rurali. Le regioni più attrattive per i turisti internazionali? Toscana (per il 69% di americani e francesi, e per il 66% di austriaci e svizzeri), Sicilia (66% di francesi, 62% di americani), Sardegna e Puglia (63% di francesi). E tra le destinazioni enoturistiche prevalgono Chianti (fino al 41% degli americani) ed Etna (fino al 40% dei francesi), seguite da Montepulciano (42% degli svizzeri), Montalcino (27% degli americani) e Bolgheri (25% di austriaci e svizzeri). Buone preferenze anche per le Cinque Terre (26% di austriaci e svizzeri) e per la “Food Valley” dell’Emilia-Romagna (24% di americani). È la fotografia scattata dal “Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano” 2025 curato da Roberta Garibaldi (che, in un’intervista a WineNews, ha tracciato il bilancio del settore e indicato i trend del futuro), presentato oggi al “Bto-Be Travel Onlife” a Firenze, e che si focalizza, per la prima volta, sulla domanda internazionale, analizzando in modo comparativo i 6 mercati esteri più importanti per l’Italia - Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Austria, Svizzera e Francia - ed evidenziando “incrementi vertiginosi” della capacità attrattiva del gusto italiano come motivazione di viaggio nel Belpaese.
E secondo il quale, anche per i prossimi 3 anni, l’intenzione di viaggiare in Italia con questa motivazione di viaggio da parte dei turisti stranieri è altissima: la quota “molto probabile e probabile” va dal 55% in Germania all’81% in Austria e Svizzera (con l’Uk al 59%, gli Usa al 57%, e la Francia al 70%); i “molto probabile” toccano il 50% in Austria e Svizzera e il 34% in Francia. E l’inclusione di esperienze enogastronomiche nel pacchetto vacanza appare importante: le valutazioni 8-10 arrivano al 62% negli Usa, seguite dal 38–40% in Uk, Francia, Austria e Svizzera, e il 36% in Germania. Un alto potenziale, oltre al mondo vino, caratterizza l’oleoturismo, con esperienze come le cene negli uliveti (oltre 50% in tutti i mercati) e il turismo della birra. E, guardando alla disponibilità di spesa, per un pasto tipico la maggioranza si concentra tra 21 e 60 euro (oltre il 50% dei casi in ogni Paese), per i tour in cantina con degustazione prevale la fascia 21-40 euro (fino al 35% in area Austria-Svizzera), mentre le esperienze in acetaia e nei musei del gusto si collocano per oltre la metà dei rispondenti sotto i 20 euro.
Il “Rapporto” 2025 - e che, realizzato dal 2016, monitora con rigore e continuità l’evoluzione di uno dei segmenti più strategici per il turismo nazionale, realizzato con il sostegno di Visit Emilia e Valdichina Living - permette di comprendere non solo l’interesse verso il turismo enogastronomico, ma anche le aspettative e le esperienze vissute dai turisti stranieri in Italia. “Capire come ci vedono e come ci vivono è il primo passo per governare il cambiamento, in un settore che continua a crescere a ritmi sostenuti, affermandosi come uno dei segmenti più dinamici dell’economia turistica globale”, spiega Roberta Garibaldi, presidente dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico (Aite).
L’attenzione, infatti, è rivolta anche alle fonti ispirazionali, con un grande ruolo svolta da quelle tradizionali - i consigli di amici e parenti arrivano a rappresentare il 60% in Germania, Uk e Usa - e per i mezzi scelti per la prenotazione delle esperienze, con i canali digitali che assumono rilevanza soprattutto tra francesi e americani, mentre tedeschi e britannici mostrano una maggiore propensione a decidere sul posto. Un punto cruciale riguarda la comunicazione mirata alle nuove generazioni. Il turismo enogastronomico deve cambiare linguaggio: non servono più brochure e storytelling tradizionali, serve una presenza digitale autentica, visuale, virale. Eppure, solo una minima percentuale di imprese agricole italiane è presente su piattaforme come TikTok o YouTube, mentre sono proprio questi gli spazi dove si forma la percezione del made in Italy tra i giovani di tutto il mondo. Cresce, però, l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale. Già oggi, il 21% dei turisti americani e il 18% dei francesi pianificano il proprio viaggio attraverso piattaforme che la integrano, che diventeranno sempre più importanti non solo in termini di programmazione dell’esperienza, ma anche come mezzi di sostituzione/integrazione delle attuali ricerche online. Questa rivoluzione determina la necessità, per le aziende, di avere le carte in regola per essere selezionate dall’Intelligenza Artificiale: se i dati di un’azienda non sono aggiornati o non leggibili dai sistemi Ai, quella realtà rischia semplicemente di non esistere digitalmente. Per questo, il “Rapporto” propone un box operativo - “Dentro o fuori la mappa digitale” - con indicazioni concrete per imprese, Dmo e consorzi: uniformare i dati, essere presenti sui portali esperienziali globali (GetYourGuide, Viator, Airbnb Experiences, Musement), usare formati strutturati e costruire reti informative condivise. “L’Intelligenza Artificiale - sottolinea Garibaldi, docente all’Università di Bergamo - non è solo un supporto: è la nuova infrastruttura del turismo”. E chi saprà dialogare con essa, mantenendo autenticità e qualità, sarà protagonista della prossima fase.
Il “Rapporto” 2025 evidenzia con chiarezza, insomma, come il turismo enogastronomico stia entrando in una nuova fase. Il viaggiatore di oggi non cerca soltanto il “piatto iconico”, ma un rapporto più profondo con i territori, le persone e le storie che li abitano. Si osserva un ritorno all’essenziale, fatto di esperienze semplici e radicate nel paesaggio, dove il valore risiede nei gesti dell’ospitalità e nella quotidianità della produzione agricola. Cresce parallelamente l’interesse per forme di intimità gastronomica, come tavoli dedicati, incontri diretti con chef e produttori, degustazioni per piccoli gruppi curate in modo personale. Si sviluppano, inoltre, vere e proprie comunità del gusto, dai wine club agli orti condivisi, fino alle cucine partecipate: spazi dove il cibo torna ad essere occasione di relazione e appartenenza. Infine, si rafforza il trend già presente di benessere e longevità, che porta i viaggiatori a scegliere luoghi in cui la qualità della vita, dell’ambiente e dell’alimentazione è percepita come parte integrante dell’esperienza, come accade nelle “Blue Zones” italiane. In questa prospettiva, l’esperienza enogastronomica evolve: non si tratta più solo di assaggiare un territorio, ma di entrarvi in relazione.
Per accompagnare questo cambiamento, le destinazioni italiane sono chiamate a rafforzare quattro leve chiave: stewardship territoriale, ovvero passare dalla sola promozione alla cura condivisa del territorio e delle sue comunità; misurazione degli impatti, per valutare non solo i flussi, ma gli effetti sociali, culturali e ambientali del turismo; digitalizzazione e Intelligenza Artificiale, strumenti indispensabili per migliorare visibilità, personalizzazione e gestione delle presenze; professionalizzazione delle competenze, soprattutto nelle realtà agricole, artigiane e nelle piccole imprese, che rappresentano l’ossatura del settore.
Riguardo proprio alle competenze, molti produttori agricoli e artigiani, eccellenti nella loro attività, non dispongono delle conoscenze digitali o turistiche necessarie per aprirsi al mercato dell’esperienza. Per questo, il “Rapporto” richiama le evidenze del primo “Libro Bianco sulle Professioni del Turismo Enogastronomico”, realizzato sempre dalla professoressa Garibaldi, che ha identificato figure cruciali come l’hospitality manager, il consulente per il turismo enogastronomico, l’addetto alle visite, il product manager per il turismo enogastronomico ed il curatore di esperienze enogastronomiche. Il futuro passa da una rete di supporto territoriale: consulenti condivisi messi a disposizione da Dmo, consorzi e associazioni per accompagnare le piccole imprese nella transizione tecnologica e turistica. “Il nostro tessuto produttivo è fatto di eccellenze piccole, ma straordinarie. Dobbiamo permettere loro di diventare parte di un ecosistema più grande, senza snaturarsi ma imparando a essere leggibili nel mondo digitale”, afferma Garibaldi.
Questo perché la competitività non è più determinata dal numero dei visitatori, ma dalla qualità dell’esperienza, dalla capacità di mantenere vivi i territori e dal valore condiviso che il turismo è in grado di generare. In un’Italia caratterizzata da dinamiche territoriali contrastanti, da un lato le destinazioni iconiche continuano a registrare elevati flussi turistici, dall’altro borghi e aree interne faticano a mantenere vitalità economica e sociale. In questi contesti, la progressiva riduzione di servizi e attività produttive locali si accompagna alla perdita di competenze e saperi tradizionali. Il turismo enogastronomico può rappresentare una leva strategica di valorizzazione e rigenerazione: genera valore economico e mette in relazione agricoltura, artigianato, ospitalità e cultura. “Perché questo potenziale si traduca in risultati concreti - spiega Roberta Garibaldi - è necessario un approccio sistemico che integri politiche di coesione, infrastrutture adeguate, misure fiscali mirate e un rafforzamento delle competenze professionali”. Le tendenze delineano uno scenario di trasformazione profonda, in cui il turismo enogastronomico si afferma come motore per uno sviluppo più umano, integrato e responsabile, capace di valorizzare i territori non solo come luoghi di consumo, ma come ecosistemi culturali, sociali ed economici in evoluzione. La vera frontiera consiste nell’integrare tre forme di intelligenza - naturale, sociale e artificiale - come componenti complementari di uno stesso ecosistema. È solo dal loro equilibrio che può nascere un modello di sviluppo realmente rigenerativo, in cui il dato dialoga con la natura e le comunità mantengono un ruolo centrale. “Il futuro del turismo enogastronomico - conclude Roberta Garibaldi - non si misura più nei volumi, ma nel valore generato, economico, sociale e culturale. In un mondo che tende all’artificiale, l’intelligenza più avanzata potrebbe tornare a essere quella che nasce dalla relazione armonica tra uomo, comunità e natura: il principio che da sempre sostiene il valore profondo della cucina italiana e dei territori che la esprimono. L’Italia ha le risorse per costruire un modello distintivo, in equilibrio tra tradizione e innovazione, tra locale e globale, tra identità e sostenibilità. Un modello capace di restituire significato al viaggio, dignità al lavoro e futuro alle comunità. Il turismo enogastronomico può diventare il laboratorio di un’Italia che unisce impresa, cultura e territorio. Abbiamo tutti gli ingredienti per riuscirci”.
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