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LA NEUROSCIENZA E IL VINO

Perché il vino italiano piace all’estero? Perché esprime il rapporto profondo tra uomo e ambiente

Così l’Italian Taste Summit (Padenghe sul Garda). Il consumatore sceglie un vino in base alla brand authenticity di una cantina. E lo paga di più
BRAND, NEUROSCIENZA, TERRITORIO, Italia
Il consumatore sceglie un vino in base alla brand authenticity di una cantina

Perché il vino italiano piace all’estero? Perché esprime il rapporto profondo tra uomo e ambiente come nessun altro prodotto proveniente dai principali Paesi produttori di vino. Il che vuol dire che il consumatore sceglie un vino in base alla brand authenticity di una cantina, ossia attraverso caratteristiche quali qualità, heritage, sincerità, continuità, integrità, simbolismo e predilige le aziende che sappiano raccontare la propria storia e il proprio territorio, dando valore morale e reale al proprio brand, coerenti nel tempo nei propri obiettivi. Emerge dall’Italian Taste Summit, promosso a Padenghe sul Garda, da Miro & Co. Wine Global, con oltre 30 cantine di tutta Italia e 30 importatori internazionali. La riprova arriva dall’applicazione delle neuroscienze al mondo del vino: affidandosi alla scienza per capire come funziona il cervello umano nelle scelte d’acquisto e quanto sia disposto a pagare per una bottiglia di vino (nelle scelte d’acquisto incide solo il 5% della parte razionale del cervello, perché “siamo macchine emotive che pensano” e non viceversa), da alcuni test effettuati su dei consumatori a cui era stato mostrato un brand che aveva saputo rispondere a tutti i requisiti di authenticity, si è evidenziato come questi fossero disposti a pagare un terzo in più del prezzo reale della bottiglia.
Se è vero che nell’ultimo decennio le esportazioni italiane di vino hanno puntato sempre più sulla qualità, come rivela la crescita delle vendite in valore (+5,2% medio annuo nel periodo 2007-2018, fonte: Unicredit Industry Book) rispetto ai volumi esportati, rimasti invece quasi invariati (+0,3% nello stesso periodo) è altresì vero che il consumatore - o consum-attore come è stato definito nel Summit - è orientato sempre di più verso vini che esprimono l’identità del territorio e con essa, la bellezza, l’autenticità, l’originalità della ruralità, tipica in ogni azienda agricola italiana.
Le cantine che si vogliono affermare all’estero, è stato detto al Summit - tra i relatori, Maria Carmela Ostillio della Sda Bocconi School of Management, Leonardo Morosini di Lc International, Alberto Bracalenti di Crowe Valente, Carlo Pietrasanta del Movimento Turismo del Vino Lombardia, Caterina Garofalo, presidente Ainem-Associazione Italiana Neuro Marketing, e Mattia Vezzola, enologo di Costaripa - devono comportarsi come un brand, passando da una gestione familiare ad una gestione aziendale, chiedendosi che cosa vuole il consumatore per percepire il maggiore valore del prodotto e quindi essere disposto a pagare un prezzo più alto.
Sono almeno sette gli elementi su cui dovrebbe puntare ciascuna cantina per avere successo all’estero: lo storytelling (il racconto ritmato ed emotivo della propria storia), sapersi presentare come un artigiano del vino (esprimere passione), attenersi alla tradizione ma saper innovare (guardare al futuro con uno sguardo al passato), adorare il fare (e quindi metterci la faccia), immergersi nel mercato (viaggiare e conoscere gli altri paesi), contribuire a qualcosa di più grande (portare avanti il brand, ma anche il made in Italy) e incoraggiare la devozione del personale (cult-like). Per farlo in maniera strategica, ci si deve dare degli obiettivi di medio e lungo termine, crescere in capacità gestionale, costruire un business plan, controllare gli investimenti e monitorare i risultati raggiunti sui mercati stranieri. In quest’ottica è fondamentale utilizzare le risorse a disposizione, come il credito agevolato dell’Ue (Ocm), non come un mero rimborso spese, ma come imperdibile strumento di pianificazione e di crescita sui mercati. Un processo lungo che non si esaurisce in pochi mesi, ma che richiede la lungimiranza e la programmazione connaturata al viticoltore, che quando pianta i suoi vigneti e progetta il suo vino, sa che ha di fronte a sé almeno 50 anni di gestione. È in questo senso che anche la ruralità e l’enoturismo diventano per le cantine l’essenza stessa su cui costruire la strategia per il futuro: conoscere il proprio valore, la propria storia, darsi degli obiettivi di incoming/outcoming e saperli realizzare in maniera sistemica.

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