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PESCA - MARE SOTTO SACCHEGGIO, IN TAVOLA I FRUTTI PROIBITI

Il Mare Nostrum nella rete dei "pirati". L'estate per le acque nazionali è una stagione ad alto rischio saccheggio. In nome soprattutto della gola. La moda dei piatti "fuorilegge" o di quelli più difficili e ricercati, non solo richiama la pesca illegale ma mette in serio pericolo la tenuta di importanti specie di pesci e di interi ambienti sommersi. Dai ricci di mare, agli squali ai datteri di mare. Tutto "fa brodo" ma i guasti all'ambiente sono tanti.
Mangiare un piatto di spaghetti ai datteri di mare, per esempio equivale a distruggere un metro quadrato di habitat. A tutto vantaggio della "mafia del mare" che lungo le coste italiane non dà cedimento. Proprio la razzia di datteri di mare, il mollusco la cui pesca é proibita per legge dal 1988, fa registrare una vitalità senza freni. Negli ultimi tre anni, secondo dati resi noti dal ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, gli organi di polizia hanno sequestrato più di 6 tonnellate di datteri di mare sia di importazione da Paesi extracomunitari sia pescati illegalmente in Italia.
Le zone più "calde" il Salento, la Costiera Amalfitana e la Sardegna. Business che raggiunge i 5 milioni di euro l'anno. Nell'esercito di pirati, scrive nell'ultimo rapporto la Lega Antivivisezione, piccoli criminali e malviventi che si sono convertiti alla pesca illegale. In media in una giornata (4-5 ore) un pescatore di frodo riesce a raccogliere fino a 15 chili di prodotto che poi vende al nero per 20-25 euro al chilo per raggiungere i 60 euro al chilo sul mercato illegale. Dietro il prelievo di datteri una storia di devastazione. Per raccogliere il mollusco, infatti, vengono sistematicamente distrutti chilometri di scogliere, anche con l'uso di martelli pnaumatici. Il dattero di mare (Litophaga litophaga) vive all' interno delle rocce e cresce nella stessa "tana" che si è ricavato nel substrato calcareo a un ritmo estremamente lento tanto che per raggiungere la taglia massima di 8 centimetri impiega anche 60 anni. Per "catturarlo" occorre quindi distruggere tutta la roccia intorno visto che con la crescita non è estraibile con perdita di tutti gli organismi bentonici che vivono sulla roccia con la conseguente trasformazione di quel tratto di fondale in un vero e proprio deserto.

Ma nel Mediterrano il nemico non è solo la pesca di frodo. Nonostante il bando, le reti killer, secondo Greenpeace, Wwf e Marevivo hanno ripreso la loro attività mietendo vittime illustri come cetacei e tartarughe. Secondo un rapporto recente del Wwf, sono almeno 300 i capodogli morti spiaggiati o impigliati nelle reti derivanti negli ultimi trent' anni nel Mediterraneo, secondo dati basati sugli ultimi 30 anni di spiaggiamenti di cetacei raccolti in Spagna, in Francia e in Italia dal Centro Studi Cetacei.
La maggioranza di queste morti può essere fatta ricondurre alle reti pelagiche derivanti, le spadare, secondo gli esperti, vista la presenza di frammenti di reti o dai segni delle maglie. Nel mondo sono invece 300.000 i cetacei vittime ogni anno delle reti in tutto il mondo. Per l'Italia, negli ultimi tre mesi il Wwf ha osservato in Calabria 20 spiaggiamenti, 18 stenelle e 2 delfini, di cui otto con evidenti segni di tagli di coda e pinne e segni delle reti sui corpi degli animali. In Campania, tra Salerno e Maratea, 4 esemplari (due stenelle e due tursiopi), due dei quali presentavano segni evidenti di impigliamento (pinne e coda mozzate). Al largo di Ischia un capodoglio impigliato nelle reti è morto per soffocamento. Un' altra decina di segnalazioni proviene nel mare tra le isole Eolie e la Calabria mentre in provincia di Agrigento è stato rinvenuto un tursiope.

A rischio anche il predatore più temuto dei mari: lo squalo. Le specie commerciabili in Italia spesso sono spacciate sotto altri nomi per favorirne la vendita mentre per le pinne gli interessi economici stanno mettendo in atto una vera e propria strage nel mondo.

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