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PESCE MADE IN ITALY? FINITO! DAL 21 APRILE L’ITALIA, AUTOSUFFICIENTE NEI CONSUMI SOLO AL 30%, DIPENDE DALLE IMPORTAZIONI. PER COLDIRETTI È ALLARME TAROCCHI: OCCHIO ALL’ETICHETTA, SCEGLIERE “ZONA FAO 37”. CI VUOLE LA “CARTA DEL PESCE” AL RISTORANTE

Pesce made in Italy? Finito! Il Belpaese è autosufficiente solo per il 30% di quello che consuma, dopo lo scoccare, il 21 aprile, del “fish dependance day”, il giorno in cui l’Italia non soddisfa più il fabbisogno nazionale di pesce e inizia ad essere dipendente dalle importazioni. Uno scenario di fronte al quale ImpresaPesca Coldiretti lancia l’allarme sui tarocchi: “2 pesci su 3 consumati in Italia provengono dall’estero. Occhio all’etichetta: scegliere “zona Fao 37” se si vuole acquistare prodotti pescati del Mediterraneo”. E una proposta: la “carta del pesce” al ristorante con l’indicazione di dove è stato pescato.

Secondo il rapporto della New economics foundation (Nef) e di Ocean2012, il 21 aprile, è scattato il “fish dependence day” italiano. Stando al rapporto “Fish Dependence: The increasing reliance of the Eu on fish from elsewhere”, l’Italia è autosufficiente per appena il 30% del pesce che consuma, a fronte del 51% della media dei 27 Paesi europei. Il deficit del nostro Paese potrebbe ulteriormente aumentare per effetto della crisi, spiega Coldiretti, che ha determinato un riduzione dei prezzi di vendita ed un aumento dei costi di produzione che per circa la metà sono rappresentati dal gasolio. Quindi nell’effettuare acquisti il consiglio di Coldiretti è di verificare sul bancone la presenza obbligatoria dell’etichetta, che per legge deve prevedere la zona di pesca, e scegliere la “zona Fao 37” se si vuole acquistare prodotto pescato del Mediterraneo. Una precauzione che purtroppo non vale al ristorante al ristorante dove invece la provenienza di quanto si porta in tavola non deve essere indicata obbligatoriamente e c’è il rischio che venga spacciato per italiano un prodotto importato. Le vongole, spiega la Coldiretti, possono anche provenire dalla Turchia, mentre i gamberetti, che rappresentano quasi la metà del pesce importato in Italia, sono spesso targati Cina, Argentina o Vietnam, ma anche il pangasio del Mekong venduto come cernia, l’halibut atlantico al posto delle sogliole o lo squalo smeriglio venduto come pesce spada.

Da qui la richiesta di Coldiretti ImpresaPesca di estendere l’obbligo dell’etichetta d’origine, già vigente per il prodotto che si acquista nelle pescherie o direttamente dagli imprenditori, anche ai menu della ristorazione. Una vera e propria “carta del pesce”, con l’indicazione di dove è stato pescato quanto si porta in tavola. Il settore della pesca, secondo dati di ImpresaPesca Coldiretti, vede impegnate 13.300 imbarcazioni, mentre la top-ten delle produzioni è guidata dalle acciughe (54.312 tonnellate), seguite da vongole, sardine, naselli, gamberi bianchi, seppie, pannocchie, triglie, pesce spada e sugarelli. Un patrimonio economico, sociale e ambientale che è oggi a rischio con il solo l’aumento del prezzo del gasolio, rincarato del 25%, che sta costando alle imprese di pesca 2.000 euro in più, mentre si fa sempre più grave la stretta creditizia delle banche. Il gasolio incide fino alla metà dei costi di produzione e l’aumento delle quotazioni registrato negli ultimi 12 mesi ha aggravato una situazione resa già difficile dal contemporaneo calo dei prezzi pagati ai pescatori. La forbice tra prezzo all’origine e prezzo al consumo, ricorda Coldiretti Impresa Pesca, si è sempre più allargata. Mediamente su ogni euro del prezzo al consumo agli operatori di settore sono destinati solo 25 centesimi. Un ulteriore fattore di crisi è poi rappresentato dal problema dal cosiddetto “credit crunch”, la stretta creditizia da parte delle banche. La quasi totalità degli istituti negli ultimi mesi ha ristretto gli affidamenti alle imprese del settore o di contro, ove possibile, ha elevato le garanzie. In questo modo, conclude Coldiretti Impresa Pesca, si stanno limitando gli investimenti nella pesca e nell’acquacoltura e togliendo la liquidità necessaria alle stesse operazioni di ordinaria gestione commerciale.

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