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Prima Comunicazione

C’è Chianti e Chianti ... Per il momento è l’ultimo capitolo del De Bello Chiantico, addirittura innaffiato da una campagna pubblicitaria, un evento, dato che l’arma di convinzione di massa è stata usata molto raramente, dato che di solito bastava e avanzava il passaparola. Anche l’investimento di 2 milioni di euro all’anno per tre anni, giocati su stampa periodica e quotidiana, non è uno scherzo. “Siamo a una svolta, spiega Giuseppe Liberatore, direttore del Consorzio Vino Chianti Classico Gallo Nero, “abbiamo deciso di rilanciare il marchio, di aprire una nuova strada. E’ una scommessa, vogliamo vincerla”.
Affidata alla Saatchi & Saatchi (Alessandro Omini copywriter, Francesco Degano art director), la campagna ha al centro l’idea del cacciatore che deve trovare la preda più pregiata in mezzo a tante scartine. Molto elegante lo sfondo nero su cui Peter Lippman, un maestro dello still life, ha fotografato il binocolo-due bicchieri, o l’arco cavatappi che cercano la cosa giusta nella foresta-di-bottiglie ...
Il messaggio da comunicare è di quelli difficilissimi e cioè che quando dici Chianti non hai detto tutto, perché c’è Chianti e Chianti. C’è il Chianti che si chiama Chianti perché è Chianti e quello che si chiama Chianti perché c’è un decreto del 1932 ... Insomma, la storia è tutta toscana, intrecciata, ingarbugliata, infinita.
E’ cominciata quasi 300 anni fa, nel 1716, quando Cosimo III de’ Medici (dinastia rinascimentale di cui si sente, nell’Italia attuale, una certa mancanza) stabilì i confini del magico nettare: l’uva dei vigneti che andavano da sud di Firenze a nord di Siena, nei comuni di Castellina, Gaiole, Greve, Radda, Barberino Val d’Elsa, Castelnuovo Berardenga, Poggibonsi, San Casciano e Tavarnelle, si poteva fregiare del nome Chianti.
Le cose andarono bene per qualche secolo ma, appena il vino divenne famoso in tutto il mondo, i confinanti cominciarono a produrre vino all’uso del Chianti, buttando sul mercato addirittura sei tipologie di vino simil-Chianti, riempiendo gli scaffali delle enoteche di tutto il pianeta. A dirla con le cifre si capisce meglio il problema: dai 70mila ettari della zona originaria si ottengono, ogni anno, circa 380 mila ettolitri di Chianti (venduti, come minimo, a 3-4 euro alla bottiglia, mentre l’altro Chianti arriva addirittura a un milione di ettolitri (e può costare anche solo 1 euro a bottiglia).
Da qui, a partire dal 1924, è stato tutto un fiorire di consorzi, enti, barriere, trincee, a difesa dell’originalità del prodotto. L’ultimo nato, dall’unione di due precedenti, è il Consorzio Vino Chianti Classico Gallo Nero che conta 595 produttori e che ha riunito la magica parola Classico al simbolo del Gallo Nero.
Così su ogni bottiglia oltre al termine Classico ci sarà anche la fascetta con il Gallo Nero, simbolo di Docg. Bella anche la leggenda del Gallo Nero, l’ha raccontata Vittorio Pozzesi, presidente del Consorzio, un toscanone con i capelli candidi: “Firenze e Siena erano in guerra per il territorio, per porre fine alla disputa si decise di affidare la definizione dei confini alla velocità del migliore cavaliere di ogni città. La partenza doveva avvenire all’alba, al canto del gallo.
I fiorentini scelsero un gallo nero, lo tennero chiuso per tre giorni senza cibo. Appena libero cantò subito, senza aspettare l’alba, e il cavaliere fiorentino vinse e Firenze si prese tutto il Chianti...”. Alla fine della conferenza stampa assaggio di svariati Chianti Riserva, naturalmente originali, buoni e, hic, bellicosi.

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