Il posizionamento sul mercato, per un brand, è la quintessenza del successo. Anche e soprattutto se si parla di vino, perché certi scaffali, certe tavole e, soprattutto, certe carte, sono davvero per pochi. Come quelle dei ristoranti tre stelle Michelin in giro per il mondo, difficilmente accessibili per qualsiasi griffe del vino, ma fondamentali per approcciare mercati emergenti come quelli asiatici. In questo senso, ad esempio, diventa decisamente importante il ruolo di un ristorante come l’8 e ½ Bombana di Hong Kong, unico locale tre stelle Michelin italiano fuori dai confini nazionali, che in carta, come ricorda dall’incontro “Come finire nella carta dei vini di un ristorante stellato della Guida Michelin”, di scena al wine2wine, il business forum di Veronafiere & Vinitaly fino a domani a Verona, Marino Braccu, sommelier e braccio destro ad Hong Kong di Umberto Bombana, “ha 2.100 etichette da tutto il mondo, molte delle quali, ovviamente italiane”, come ha ricrdato a WineNews. Ma come fa un’etichetta a finire nella carta di un grande ristorante? Innanzitutto, spiega Braccu a WineNews, “un vino deve rappresentare tipicità e genuinità, requisiti fondamentali, ma è molto importante il modo in cui lavora l’azienda, alla base di tutto. La cosa importante è fare un grande prodotto: se un vino è buono, genuino e di qualità ha le carte in regola per stare in un grande ristorante”.
Per il vino italiano, ristoranti del genere diventano veri e propri amplificatori, assumendo un ruolo di enorme “responsabilità, non scritta, che ci vede come primi comunicatori delle peculiarità ed i punti di forza del cibo e del vino italiano ai consumatori: se non lo facessimo noi, chi lo dovrebbe fare ?”, si chiede Braccu. Che ricorda poi come, sul mercato asiatico, abbia un peso assai rilevante la distribuzione, “di cui noi sommelier siamo l’ultimo anello: sta a noi - aggiunge il sommelier dell’8 e ½ Bombana - dare i giusti input al supplier, che si confronta direttamente con il mondo produttivo. Se noi, come sommelier, non facciamo la nostra parte in questa catena, rendiamo tutto più difficile”.
C’è, infine, un’ultima premessa da fare, per capire le reali possibilità dei fine wine italiani sul mercato asiatico, e riguarda essenzialmente il consumatore asiatico, “tutt’altro che ignorante quando si parla di certi segmenti: viaggia molto, in cinque giorni in Europa mangia in cinque tristellati Michelin, sa cosa beve ed è estremamente ricettivo a consigli che lo portino fuori dalla propria comfort zone, una cosa che, in realtà, non fanno in molti sommelier”. Ecco perché, ad esempio, ad “Hong Kong, specie da noi, va tutto, ma è paradigmatico il successo dell’Etna, dove c’è qualità ma anche un lavoro, sulle Contrade, simile a quello fatto a Barolo con le MGA, che ha valorizzato enormemente il territorio. Che è esattamente ciò che si dovrebbe fare con altri importanti vini, come il Fiano di Avellino, il Verdicchio, il Vermentino di Gallura, e tante altre realtà. Non è possibile - conclude Braccu - che un produttore con i vigneti fuori dai grandi cru possa ostacolare questo tipo di processo: bisogna remare tutti verso la stessa direzione”.
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