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Quando il vino racconta storie che vanno oltre la sua (altissima) qualità: è il caso della famiglia Saadé, una delle più prestigiose griffe del vino del Libano con Chateaux Marsyas, e “simbolo di perseveranza” con Bargylus, unica cantina della Siria

Italia
Sandro Johnny Saade alla guida di Chateau Marsyas in Libano e Bargylus in Siria

Il vino è capace, come pochi altri settori, di raccontare storie di vita, di scelte eroiche e di grande valore simbolico e identitario, che vanno al di là del valore del vino stesso. È il caso della famiglia Saadé, una delle più prestigiose griffe del vino del Libano con Chateaux Marsyas (www.chateaumarsyas.com), nella Valle della Bekaa ma, soprattutto, unico produttori di vino in Siria, dove tenere in vita un’azienda enoica è davvero un impresa eroica per ragioni economiche ma, soprattutto, culturali e religiose con Bargylus, vicino a Lattakia (www.bargylus.com). Due aziende entrambe a 60 chilometri dal costa, ad oltre 900 metri di altezza, ma completamente diverse sotto molti aspetti, come spiega a WineNews, da Vinexpo (www.vinexpo.com) il produttore Sandro Johnny Saadé: “penso che ci siano in gioco due diverse sfide tra Libano e Siria. In Libano la sfida è quella di produrre vino di alta qualità in un Paese dove ci sono già, oggi, 40-45 produttori, quindi dobbiamo puntare ad alzare l’“asticella qualitativa” della produzione vitivinicola, e penso che con Chateaux Marsyas ci siamo riusciti, creando un vino dallo stile nuovo e diverso, e penso anche che oggi sia uno dei vini di più alta qualità del Libano. La sfida in Siria è un po’ differente, e lo è stata dall’inizio, anche al lancio, prima della guerra: la sfida era quella di creare una cultura del vino che prima non è esistita affatto per molti, molti anni, e con questo intendo dire che bisogna tornare a secoli e secoli addietro per ritrovare la presenza del vino in Siria, ma non di certo in tempi moderni. C’era da creare una cultura del vino, dovevamo cominciare tutto da zero, dalla formazione del personale, dalle basi produttive, e quindi tutti questi fattori, sommati insieme, hanno rappresentato una sfida molto difficile. Ma è molto stimolante produrre vino di alta qualità in un Paese che ora è fiero di avere un vino di alta gamma, che è presente e può essere assaggiato su alcuni dei migliori tavoli di Londra, di Dubai o di Parigi”.
Sfide complicatissime ma fino ad oggi vinte, alla prova del bicchiere, nonostante aspetti complessi che vanno oltre l’aspetto produttivo tout court.
“Penso che dal punto di vista enologico il problema in Siria sia più che altro logistico: voglio dire, quando si vuol fare delle analisi chimico-fisiche del vino, anche solo per controllare la concentrazione alcoolica, di solfiti o quant’altro, dobbiamo mandare i campioni in Libano, se non addirittura a Bordeaux. In Libano c’è più cultura del vino, ed è più affermata, quindi le cose dal punto di vista vitivinicolo sono più semplici, e in termini produttivi penso che la nostra situazione ci imponga pratiche abbastanza peculiari in tema di potature, di lavoro manuale, della scelta di utilizzare o meno pesticidi ed erbicidi, quindi non abbiamo veri e propri problemi. Ma devo insistere su un punto, e cioè che in Siria non possiamo assumere personale già formato, abbiamo dovuto assumere persone e formarle in azienda, e questo è molto costoso. Bargylus è un vigneto molto piccolo, sono solamente 12 ettari, e produce una quantità relativamente piccola di vino, ovvero 45.000 bottiglie: abbiamo una resa bassa, ma la cosa più importante è che è il vino più difficile da produrre. Lo era quando abbiamo abbiamo cominciato, e oggigiorno, con la guerra in corso, lo è ancora di più, perché dobbiamo tenere conto dei ritardi e di tutta una serie di problemi logistici che nascono da questo fatto. Io personalmente, o mio fratello Karim, non possiamo recarci fisicamente in Siria quando vogliamo: dobbiamo gestire tutto a distanza, ed è un sfida non da poco, a mio modo di vedere”.
Aspetti che, in questa particolare epoca del mondo deve culture diverse tornano a scontrarsi i mondo anche violento, fanno diventare Bargylus un vero e proprio simbolo, con valori che vanno molto oltre la qualità del vino.
“Ma non un simbolo che ha qualcosa a che vedere con la religione, o con la politica, non voglio entrare in quelle dinamiche. Intendo dire un simbolo di perseveranza: è un simbolo della volontà di voler creare un prodotto nobile, come il vino, in tempi difficili, e del riuscire a farlo non solo quando di mezzo c’è una guerra, ma in assoluto. Bargylus è sempre stato un progetto difficile da affrontare, ma ora è un simbolo di identità, un simbolo della nostra volontà di dire “siamo qui, siamo presenti e vogliamo rimanerci, e continueremo a produrre Bargylus fino a che saremo qui e indipendentemente da qualsiasi cosa succeda. E ci piace dirlo perché ne siamo fieri”.

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