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Quanto vale realmente una bottiglia di vino? Quanto costa produrne una? E come si dividono i profitti nei diversi passaggi dalla cantina allo scaffale? Due storie, da Uk ed Usa, per capirne di più, tra costi, tasse e profitti

Italia
Il peso delle tasse sulle bottiglie di vino in Uk

Il valore di una bottiglia di vino non è direttamente correlato ai costi di produzione, ma allora, qual è il prezzo giusto? Domanda difficile, e piena di insidie, per la quale non esiste una risposta univoca. In Gran Bretagna, la Wine and Spirit Trade Association (www.wsta.co.uk) ha riassunto in un’infografica la proporzione, in base al prezzo allo scaffale, di quanto il consumatore paga per il prodotto vino (compreso di ogni costo di produzione, dalla vigna alla cantina, passando per la commercializzazione ed il marketing) e quanto per le tasse. Prendendo in esame bottiglie che vanno dalle 2,99 alle 9,99 sterline, ossia buona parte del commercio enoico della gdo, il dato interessante è che spendendo meno di 6,99 sterline, il consumatore paga più di tasse che di vino, suggerendo che per portare a tavola un vino di buona qualità è meglio spendere qualche sterlina in più, visto che su una bottiglia da 2,99 sterline l’89% del costo finisce in tasse, il che significa bere un vino da 30 centesimi. I costi, del resto, variano tantissimo da azienda ad azienda, e in tal senso gli esempi migliori arrivano dagli Stati Uniti, dove coesistono cantine che approcciano il mercato con vere e proprie economie di scala, come Bronco Wine Group (40.000 ettari vitati), il cui direttore, Fred Franzia, sostiene che un vino “non dovrebbe mai costare più di 10 dollari”. Un limite possibile per chi, come Gallo, Constellation Brands e The Wine Group, ragiona su numeri impressionanti, saltando interi passaggi della commercializzazione, e vendendo le proprie bottiglie anche a due dollari l’una, facendo comunque profitti enormi.
Ma anche negli immensi Stati Uniti, specie in Napa Valley, c’è chi punta su qualità e piccoli numeri, un po’ come succede nei grandi terroir enoici di Francia ed Italia. Come Bo Barrett, proprietario di Chateau Monteleana, che al wine writer Tyler Coleman (www.drvino.com) ha raccontato ogni passaggio fatto dalle sue bottiglie, dalla cantina allo scaffale, o al tavola del ristorante. Si scopre così, ed in Italia il percorso non è troppo diverso, che una bottiglia che paghiamo, al tavolo di un ristorante, 100 dollari, esce dalla cantina a 19. Si parla, evidentemente, di vini di qualità, in questo caso di un Cabernet della Napa Valley, che nascono da vigne di collina, con rese molto basse, costi di cantina elevati, dalle barriques francesi (1.400 dollari l’una) ai tappi di sughero da 4 dollari per i vini top. Poi ci sono da considerare i costi di marketing e di commercializzazione, ma anche e soprattutto l’avviamento, perché ci vogliono 4 anni, a fronte di un grande investimento, prima di raccogliere i frutti del proprio lavoro, senza mai dimenticare che, come ogni altro tipo di coltura, anche la vita è soggetta alle bizze del clima, che statisticamente danneggia una vendemmia ogni 7. Insomma, il calcolo esatto dei costi sostenuti dal vigneron, è quasi impossibile, anche se un’indicazione interessante la offere Rob McMillan, che ha fondato e gestisce la divisione vino della “Silicon Valley Bank” e ha stimato, nel 2012, un margine di profitto per i produttori di circa il 6,9%, “molto meno di quanto molti consumatori potrebbero immaginare”. E allora, tornando alla domanda iniziale, come fa una bottiglia da 19 dollari ad arrivare a costarne 100 al ristorante? Per prima cosa, ci sono le tasse, che variano da Stato a Stato, poi, il distributore, ovviamente, ha un suo margine: la bottiglia da 19 dollari da enotecari e ristoratori viene pagata così 33 dollari. A questo punto, allo scaffale si può trovare comodamente a 50 dollari, 17 dollari in più che costituiscono il profitto del commerciante, cui andranno detratte le spese di gestione ed ulteriori tasse. Al ristorante, invece si arriva al doppio, 100 dollari, e il motivo sta tutto nei costi di gestione di un locale, infinitamente più alti di quelli di un qualsiasi retailer. Niente trucchi, niente inganni, solo diversi, a volte troppi, passaggi, e una pressione fiscale che, in Usa, non è particolarmente clemente con gli alcolici.

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