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CULTURA

“Quello che vedete non è né cibo, né arte”: un viaggio nella poetica di Daniel Spoerri

Il progetto di Galleria Gaburro a Milano indaga il bene alimentare nell’immaginario di uno dei più grandi artisti contemporanei
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Senza Titolo, Falso Quadro-Trappola, 2010, Daniel Spoerri (ph: Galleria Gaburro)

Con l’avvento dei social network e la trasformazione della società contemporanea come la conosciamo, il cibo ha assunto e continua ad assumere sempre nuove caratteristiche: riprodotto costantemente da immagini che popolano media e profili social, oggi rappresenta in maniera del tutto calzante il paradigma della spettacolarizzazione della vita quotidiana. Un tema, quello del cibo, al quale l’artista rumeno naturalizzato svizzero Daniel Spoerri ha più volte incentrato la sua attenzione, e a cui la Galleria Gaburro di Milano (via Cerva, 25) dedica la mostra collettiva “Quello che vedete non è né cibo, né arte”, curata da Matteo Scabeni, in esposizione da oggi fino al 31 gennaio 2025, dove l’immaginario di Spoerri viene esplorato attraverso un percorso di 27 opere di 4 differenti artisti, oltre allo stesso Spoerri (Iain Andrews, Leda Bourgogne, Nebojsa Despotovic e Malte Zenses).
Nel celebre Giardino di Spoerri a Seggiano si possono osservare, tra le sue innumerevoli produzioni, numerosi “quadri-trappola” (o tableaux-pièges, la produzione più celebre dell’artista, che lui stesso inventò tra il 1959 ed il 1960) raffiguranti tavole imbandite, riprodotte e sottratte allo scorrere del tempo. Questa conservazione e preservazione di scene di vita ordinaria, in riferimento a ritualità spettacolari del consumo dei pasti o di qualsiasi altra azione, servirà a costruire un dialogo intermediale ed intergenerazionale, inserendosi in una più ampia riflessione sulla quotidianità, sulla ritualità, sull’alchimia e sul cibo. Prendendo ad esempio una delle produzioni di Spoerri che possono essere ammirate nel suo giardino seggianese, il quadro-trappola “Colazione eterna”, questa prende la dimensione concreta della colazione e delle componenti di questo pasto, per trasformarla in un qualcosa di inedito, di immortale e di diverso. L’essenza del quadro-trappola è la sua capacità di rendere “definitiva una condizione passeggera e sfidare le leggi di gravità appendendo alle pareti ciò che normalmente rimane orizzontale. È una lotta, in primo luogo, interiore: tra movimento e fissità, eternata dalla fusione bronzea”, si legge nella descrizione. Ed è sul segno del gesto artistico di Spoerri, che, attingendo da un oggetto reale, lo rielabora esteticamente trasformandolo in altro, che la narrazione della mostra è stata costruita attraverso la tensione reciproca tra due dimensioni che sono l’immanente, il reale (dove rielaborazione e trasformazione avvengono) e l’alchemico, l’oltrereale (il luogo fisico e metaforico che si crea dopo l’alterazione della materia). Le differenti visioni poetiche degli artisti si intrecciano creando un dialogo su questa tensione impossibile tra la realtà e la sua trasformazione e trasfigurazione, tuttavia pur sempre e inevitabilmente legata alla realtà stessa. Lo spazio della mostra è dunque uno spazio senza limiti e confini definiti (se non quelli, naturali, delle opere) in cui questa indagine sul cibo si intreccia alla sua memoria e al suo processo di trasformazione. È così che, citando il maestro Spoerri, “quello che vedete non è né cibo, né arte”.

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