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Quotidiano Nazionale / La Nazione

“Io, studente in America per imparare a fare il vino” … Folonari tra ricordi e futuro. “Giovani, tocca a voi”... Non è più il Capo, ma in panchina non ci va. E alla fin fine non chiamatelo nemmeno Grande Vecchio, perché a dispetto degli 87 anni appena compiuti Ambrogio Folonari, il “dottor Ambrogio”, si sente addosso ancora tanta energia. Ha appena ceduto il bastone di comando al figlio Giovanni, che in realtà lavora con lui già dal Duemila, quando dallo scisma di famiglia nacque la — appunto - Ambrogio e Giovanni Folonari Tenute, però mantiene la carica di presidente onorario, e continua a dare il suo apporto. Di esperienza, di idee, di un bagaglio che viene da lontano, dalla solida concretezza delle origini bresciane. Uomo schivo e riservato, l’Ambrogio.

Insomma, questa idea del Grande Vecchio non le piace gran che...

“Mah, un po’ mi butta giù di morale. Certo, può essere un complimento per le cose che ho fatto, però quel `vecchio’...”.

Che lezione ha appreso dal secolo di grandi cambiamenti?

“Ho visto cambiare il mondo, certo, anche il nostro mondo. E ho dato il mio contributo, e forse anche con successo: adesso viviamo in un mercato libero, in mano al consumatore, quando ho cominciato comandava il produttore, ora a comandare è la domanda”.

Che cosa sente di averci messo di suo?

“A 26 - 27 anni mio padre mi mandò in America a studiare il mercato, e una persona mi gelò dicendomi ‘sai, quando ho bevuto il tuo vino con il fiasco ci faccio una lampada’. Tornai e dissi a papà: ora mettiamoci a fare vino buono”

E questo mondo del vino oggi come lo vede?

“In grande ebollizione, in evoluzione. Per fortuna che il consumo c’è e non dobbiamo conquistarlo, ma solo lavorare a migliorare la qualità. Certo, la tecnologia è un grande vantaggio. Ottant’anni fa ci si aiutava con la chimica, oggi si lavora sul caldo e sul freddo”.

Dunque il vino oggi è migliore di allora.

“Assolutamente. Oggi si ricerca la qualità”.

Quanto pesa l’eredità di un nome come il suo?

“Ho sempre sentito questa responsabilità. Ora che sono più vecchio, resto ancora ammirato, penso al nonno che partiva per la Puglia a Ferragosto e tornava a Natale, si faceva due giorni di viaggio, e c’era solo qualche lettera ogni anno... E mio padre, ragazzo del ‘99 andato in guerra a 18 anni... C’è tanta densità, nella storia della nostra famiglia, non abbiamo 7 - 800 anni ma ‘solo’ 200 però abbiamo vissuto e interpretato tempi di grandi cambiamenti”.

E la generazione di suo figlio è pronta a raccogliere il testimone?

“Vedo molta passione, molto attaccamento in Giovanni come nei suoi amici, Lamberto Frescobaldi e le ragazze Antinori, se la trasmettono, sono amici... con Lamberto hanno studiato insieme a Davis, in California, quando ancora in Italia le scuole non c’erano, e si doveva andare in Francia o in America, poi le aziende e il mercato hanno dato vita a strutture anche qua...”.

C’è un rapporto anche tra voi Grandi Vecchi?

“Sì, siamo molto amici, sono molto grato a Frescobaldi e Antinori che mi hanno coinvolto in tante cose e hanno voluto la mia azienda nelle associazioni, in fondo ero molto piccolo dopo l’uscita dalla famiglia”.

Un’uscita sofferta.

“Sì, certo. Soprattutto quando ho visto passare la Ruffino in tutt’altre mani”.

Sua moglie è stata assessore in Provincia con Renzi, ma anche lei ha ricoperto incarichi pubblici. Che rapporto ha con la politica?

“Sono stato per 14 anni presidente della Sogese, la società che gestiva fiere e spazi espositivi, e l’ho fatto con disponibilità e spirito di servizio. Ma era una questione operativa, non politica: con la politica non ho alcun rapporto, non mi interessa. È una malattia, e io sono vaccinato”.

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