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Quotidiano Nazionale / La Nazione

Loazzolo, minuscolo borgo dell’alta Langa, è tuttora molto viva la memoria dei luoghi pavesiani. Lo scrittore era nato a Santo Stefano Belbo, la sua casa natale c’è ancora, come pure la casa dell’amico Muto Scaglione, quasi un rustico Virgilio che lo guidava tra le vigne e per i sentieri della Gaminella, “collina come un pianeta”, descritta ne “La luna e i falò”. La stessa collina che si staglia di fronte a Loazzolo, ove le pendenze si fanno aspre, occupate da intricata boscaglia (il “forteto”, appunto) alternata ai noccioleti. Qui la viticoltura è sempre stata eroica, su terrazzamenti in pietra strappati ai dirupi, e si usava far appassire su graticci di canne i grappoli migliori del profumato Moscato locale per ricavarne un vino straordinario, concentrato come ambrosia. Così faceva Maséin, nonno di Giancarlo Scaglione. Il quale, incoraggiato da Veronelli e dall’amico Giacomo Bologna, decide nel 1985 di riprendere l’antica produzione, diventando caposcuola di quella che è stata definita la più piccola denominazione regionale con le più basse rese. La vendemmia, protratta fino a novembre, permette di raccogliere uve stramature, parzialmente botritizzate, ulteriormente appassite per un paio di mesi e poi fatte fermentare in barrique di Allier, dove il vino resta per 24 mesi. In preziosa veste oro zecchino, a ruota di pavone dispiega arancia e cedro canditi, albicocca secca, cotognata, marzapane, zenzero, vaniglia, miele di corbezzolo e caramella d’orzo. Palato ampio ed elegante, sontuoso e avvolgente, rinfrancato da freschezza continua, senza cedimenti. Un grande vino da meditazione.

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