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Quotidiano Nazionale

Il Pinot del crinale … Ci voleva un “mano vero” come Francesco Guccini per impartire la benedizione a un gruppetto di pazzi che si son messi a fare vino... sul crinale delle montagne. Terre considerate già poco ospitali, figuriamoci per la vite. Eppure questi “psicopatici” - sono loro a definirsi così e ridono quando gli scappa detto che se li avesse conosciuti il buon Erasmo avrebbe riscritto l’Elogia della Follia - ci hanno creduto. E sei anni fa è nata l’Associazione dei Produttori di Pinot Nero dell’Appennino Toscano, ribattezzata con simpatia Eccopinò. Il logo è quello delle tre vette affiancate. Ognuno con la sua vicenda umana, in genere gran belle storie perché la viticoltura eroica non può farne a meno. Come la coppia composta da un maestro orafo fiorentino dalle fini mani di cesellatore (ex promessa del ciclismo) e da una giornalista con voglia di scappare dalla città. O l’architetto di grido che riavvia un podere che fu dei Medici a Cafaggiolo. O il pronipote dell’oste di Giovanni Pascoli, oste anche lui prima di dedicarsi a vigne che in qualche caso sono veri e propri dirupi. E poi la coppia di liguri che si spostano di pochi passi, nella terra che fu dei fieri Apui, e rivitalizzano un castello che fu dei Malaspina. E l’enologo cresciuto spiritualmente in una vivace comunità del Casentino, che ricompra il terreno dei nonni. Sono sette, oggi, erano partiti in otto. Ma i territori sono quelli: dalla Lunigiana al Casentino passando per la Garfagnana e la Media Valle del Serchio, il Mugello e la Valle della Sieve. In comune, quando il casentinese Vincenzo Tommasi (primo presidente dell’Associazione) si mise a radunarli per creare una nuova prospettiva per l’agricoltura di montagna, avevano due cose: la neve e la passione per il pinot nero. Già, questa straordinaria varietà che ha nella Borgogna il cuore di riferimento, ma si pianta con buoni esiti quasi dappertutto, e in Alto Adige aveva trovato la sua espressione italica migliore. Fin qui: perché poi sono arrivati loro. Piccoli, piccolissimi: forse una decina di ettari a pinot nero in tutto, al massimo 30 - 40mila bottiglie. Numeri calati da quando è uscito dalla squadra il Podere Fortuna, quello dei campi un tempo medicei, e senza considerare il colosso Frescobaldi che sta dentro il territorio, il feudo è Pomino che è l’appezzamento anche più alto con i suoi 650 metri. Qui c’è la passione. L’amore per la terra, come insegna da Gattaia nel Mugello Michele Lorenzetti, secondo il rigore del biodinamico. Ricordiamoli tutti: Casteldelpiano in Lunigiana; Còncori in Garfagnana, Macea nella Media Valle del Serchio; Il Rio e Terre di Giotto in Mugello; Il Lago nella Valle della Sieve; La Civettaja in Casentino. Pazzi? Vengono in mente anche i Magnifici Sette. O i Sette Samurai. Assaggiate questi pinot che sanno di montagna e di amore.

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