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Quotidiano Nazionale

La rivoluzione cooperativa … “Piccoli dove serve, grandi dove serve. Piccoli nella vigna, legati al territorio; grandi nel mondo in cui dobbiamo vendere più della metà del vino che produciamo”. La sintesi sul vino cooperativo la fa Ruenza Santandrea, numero 1 del gruppo romagnolo Cevico e coordinatrice di settore nell’Alleanza delle cooperative agroalimentari. I numeri del vino cooperativo sono importanti (quasi 500 imprese, 150mila soci viticoltori, 60% del vino italiano, 4,3 miliardi di giro d’affari di cui 1,8 di export) ma quello che finora è mancato è il riconoscimento da pane del consumatore: “E questo perché è mancato finora il racconto del valore aggiunto che le cantine cooperative rappresentano in termini di tutela del territorio e di salvaguardia della bellezza dei tanti paesaggi agricoli del nostro Paese. Questo racconto vorremmo iniziare a trasmetterlo all’esterno, parlando di vino non ad un pubblico selezionato di esperti, ma a tutti i consumatori, in una maniera semplice e diretta”. Nasce così l’idea di un evento che si terrà a Milano il 25-26 novembre dal titolo “Vi.vite, Vino di vite cooperative” (www.vivite.it) al museo della Scienza Leonardo da Vinci, format inedito che unirà degustazioni, animazione e spettacolo col coinvolgimento del pubblico. Un embrione di salone del vino cooperativo. Obiettivo: far conoscere questa grande realtà attraverso un linguaggio non più per iniziati ma semplice e popolare. D’altronde la formula “vino pop” l’ha inventata lei. “Una immagine troppo elitaria ha danneggiato il nostro vino, tenendo lontani tanti potenziali consumatori. Il vino è consumo quotidiano, è convivialità, è piacere, non servono gli esperti. Deve valere la libertà di gusto, quello che mi piace e quello che no”. Insiste Ruenza: “E mancato il racconto, un po’ per responsabilità nostra, un po’ perché nell’impresa cooperativa manca il personaggio, il vigneron. Il nostro è un mondo fatto invece di tantissime persone, che sono i nostri soci. La dimensione media del vigneto in tantissime parti d’Italia è di 1,70 ettari. Con questi numeri non si può pensare di vinificare in proprio. Da qui nasce l’esigenza di stare insieme in cooperative. Che negli ultimi vent’anni hanno fatto un salto qualitativo epocale. Controllano più della metà di tutto il vino a denominazione d’origine protetta e il 65% di quello Igp. E ogni anno piovono premi e riconoscimenti sulle guide e nei più prestigiosi concorsi nazionali ed internazionali”. Crescita nella qualità e nelle dimensioni. La classifica Mediobanca fotografa 3 gruppi cooperativi tra le prime 5 cantine italiane e 10 tra le prime venti. In pratica più di 6 bicchieri di vino italiano su 10 parlano cooperativo. E la cooperazione è in prima fila nel boom del nostro export: per le prime tre cantine cooperative i mercati esteri valgono il 60% del fatturato, con tendenza a crescere. Poi - insiste Santandrea c’è il valore ambientaie: “senza la cooperazione scomparirebbe gran parte del paesaggio italiano collinare coltivato a vite”. Al centro dell’evento milanese ci saranno quindi i valori del vino cooperativo: in primo luogo il territorio con la sua tipicità e biodiversità, quindi i vitigni autoctoni; la sostenibilità ambientale con la crescita del biologico e biodinamico; il vino come ambasciatore nel mondo dell’italian way oflife inteso come qualità, genuinità, narrazione di tradizione e futuro, di cantine e produttori, di paesaggio e d’identità di un paese. “Per fortuna in Italia il calo dei consumi si è fermato. Anche nel vino quotidiano si cerca la qualità, la tipicità. Serve una rivoluzione rock nel vino e noi la possiamo fare”.

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