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RECLUSO, FUGGIASCO, LUCE DI LUNA ... QUESTI GLI EVOCATIVI NOMI DEI VINI PRODOTTI DALLA COOPERATIVA “LAZZARIA” NEL CARCERE DI VELLETRI. UNA STORIA DI RISCATTO SOCIALE CHE PASSA ATTRAVERSO IL VINO, RACCONTATA DA WINENEWS.TV

Italia
Ecco i vini del Carcere di Velletri!

Il progetto del vino del Carcere di Velletri è un’esperienza nata nel 2003 nel momento in cui viene proposto dalla direzione ad alcuni detenuti di gestire la vigna e la cantina presenti all’interno dell’istituto di pena. Si forma così la Cooperativa Lazzaria, una cooperativa di detenuti con il compito di dar vita all’idea. Stefano Lenci, presidente, ed altri membri di questa cooperativa, spiegano a WineNews.tv il lavoro quotidiano a contatto con la natura che circonda il carcere e che ha dato loro la possibilità di sperimentare un’alternativa rieducativa: “abbiamo la nostra struttura, la cantina, piccola ma efficiente. - spiega Lenci - Poi abbiamo circa quattro ettari di terreno coltivati a vigneto”.

Suggestivi i nomi degli ottimi vini che vi si producono, nomi che evocano un po’ la vita e i desideri degli uomini che li hanno prodotti, come racconta ancora Stefano Lenci: “abbiamo quattro tipologie di vini, due vini rossi e due vini bianchi: Recluso Rosso, che è un cabernet, Sette Mandate (che prende il nome dai giri di chiave che servono a chiudere una cella, ndr) che è un Sangiovese in purezza, una malvasia puntinata, che è sempre un Recluso, uno Chardonnay in purezza, che è Luce di Luna”.

Vini dalla spiccata rilevanza sociale e che cominciano ad avere un discreto successo tra le enoteche ed i ristoranti della capitale. Ma che si prevede avranno anche sbocchi internazionali, primi fra tutti i mercati danesi ed inglesi che hanno già mostrato un interessamento ai vini frutto di questo progetto. E se da una parte a dar una mano alla distribuzione c’è un colosso come Coop, dall’altra è la qualità stessa dei vini, dimostrata dai premi vinti, tra il 2004 ed il 2005, a far crescere velocemente la loro fama.

“Prima non sapevo fare nulla, ora sono quasi un esperto. L’enologo mi dice quello che devo fare ma la responsabilità alla fine è mia”. Nella parole di Salvatore, uno dei detenuti della Cooperativa, si legge un’auto-responsabilizzazione che cresce attraverso il lavoro e attraverso la trasmissione degli antichi valori che stanno alla base del lavoro agricolo e del mondo del vino. Nella ricerca di un prodotto enoico che ogni anno sia migliore di quello della stagione precedente, questi uomini riscoprono la loro dimensione umana e sociale, la voglia di migliorarsi per esser pronti a rientrare con piena dignità nella società.

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