L’ultimo “avvertimento” è della fine di febbraio 2022, ed a darlo è stato l’Ipcc-Intergovernmental Panel for Climate Change, l’organismo delle Nazioni Unite che studia i cambiamenti climatici, secondo cui l’entità degli effetti del surriscaldamento del Pianeta sono maggiori di quanto stimato nelle valutazioni precedenti, già alquanto preoccupanti. Un quadro in cui il cambiamento climatico e la qualità delle uva appaiono sempre meno compatibili, perciò diventa indispensabile trovare nuove interpretazioni delle tecniche colturali che consentano di gestire gli effetti del Climate Change e di farne, al contempo, un’occasione per rinnovare gli schemi produttivi preservando la qualità del vino in un contesto nuovo. C’è bisogno, in sostanza, di un “Giro di vite”, per dirla con il titolo scelto dalle Donne della Vite per il convegno di scena a Bari nella cornice di Enoliexpo 2022.
“Su questo tema di grande attualità - ha sottolineato Valeria Fasoli, presidente Donne della Vite - abbiamo chiamato esperti di settore a portare il loro contributo di conoscenza ed esperienza, continuando nel solco dello spirito che contraddistingue Donne della Vite, a comunicare, trasmettere e diffondere cultura nel mondo vitivinicolo, nel rispetto dei principi cardine di una viticoltura sostenibile”. Una resilienza al Climate Change, quella del sistema vitivinicolo italiano, obbligata per continuare a produrre vini a denominazione negli areali storicamente vocati su cui si fonda la produzione italiana di valore.
Anche si riuscisse a invertire la rotta e a contenere il riscaldamento globale in 1,5°C nei prossimi 20 anni, secondo l’Ipcc le conseguenze ambientali, sociali ed economiche saranno gravissime e irreversibili e impatteranno in particolare sul Sud dell’Europa, dove si concentra la viticoltura. Gli effetti sulle piante, sulla qualità delle uve e quindi dei vini è già evidente, ed a breve arriverà il preconizzato declino della produttività dei vigneti.
“L’impatto sulle aree di coltivazione tradizionali della vite sarà forte”, conferma Vittorino Novello dell’Università di Torino e vicepresidente della Commissione Viticoltura Oiv. “La vite migrerà nel Nord Europa, dove l’incremento della temperatura si configura come un’opportunità, tant’è che oltre che in Gran Bretagna, l’impianto di vigneti sta interessando anche Svezia e Finlandia. Molte sono le possibilità, dall’impianto alla gestione del vigneto, per mitigare gli effetti del Climate Change, ma quello che mi preme sottolineare è come molte delle tecniche adottate negli ultimi decenni per ottenere uve sempre migliori vadano ad amplificarne gli effetti. Un esempio è l’aumento del grado zuccherino, oggi indotto dal riscaldamento globale, che abbiamo perseguito riducendo le rese”.
Per far fronte a questa nuova situazione, assimilabile a quella dei climi caldo-aridi, “è necessario evitare la standardizzazione dei modelli viticoli - spiega Antonio Carlomagno, agronomo Agriproject - e progettarne di sostenibili in particolare per quanto attiene all’efficienza dell’acqua e alla tutela della fertilità del suolo. Non si può che attuare misure agronomiche per non essere costretti a cambiare coltura e per difendersi dagli eventi estremi, monitorare le variabili meteorologiche su scala aziendale o di comprensorio e servirsi della sensoristica e dei modelli di supporto alle decisioni”.
Un “salto” in una realtà estrema come quella del deserto israeliano del Negev, dove si producono, incredibilmente, vini di qualità, è propedeutico per comprendere in che modo oggi si produca vino in regioni a clima estremo. “Il deserto - racconta Aaron Fait della Ben Gurion University del Negev (Israele) - è un formidabile laboratorio in cui testare sulla vite gli effetti che i cambiamenti climatici hanno o potranno avere sui vigneti di zone non desertiche, dove preservare la qualità delle uve sta diventando difficoltoso. La nostra sperimentazione sulla vite da vino e su molte altre colture permette di ottenere modelli per anticipare quella che sarà la condizione in Europa tra 20 o 30 anni. Osserviamo una riduzione di rese, in particolare su alcune varietà, che ci porta a prevedere la perdita fino al 60% della produzione a fronte di un incremento di temperatura di 2° C. Stiamo valutando gli effetti di temperature dei grappoli oltre i 45°C in tutta la stagione, sui parametri qualitativi delle uve e sulla composizione dei mosti. Sperimentiamo soluzioni per proteggerli, come l’apposizione di reti ombreggianti di diversi colori sulla fascia dei grappoli e la modifica dell’architettura della pianta in funzione del loro ombreggiamento. Anche se entrambe le strategie hanno delle controindicazioni, i risultati per quanto riguarda l’omogeneità e il livello qualitativo delle uve sono positivi. Stiamo anche lavorando sulla risposte di 30 varietà diffuse in tutto il mondo per valutarne la risposta a condizioni climatiche estreme. Una delle evidenze, sorprendentemente, è che le varietà a bacca bianca si adattano meglio all’aumento delle temperature per la loro maturazione più veloce rispetto a quelle a bacca rossa”.
C’è anche un altro risvolto - sociologico - dei cambiamenti del clima e cioè il mutare in parallelo del vino stesso, del suo contenuto in alcol, dell’acidità e in generale dell’idea stessa dell’evoluzione e longevità dei top wine, riconosciuto aspetto della qualità enologica. E quindi del contemporaneo cambiare del pensiero sulla qualità e di conseguenza della critica enologica e degli orientamenti dei consumatori.
“La società, attraverso classificazioni più o meno implicite - ha osservato Gianmarco Navarini dell’Università Bicocca di Milano - concepisce, rappresenta e percepisce la qualità del vino. Queste classificazioni si sono sviluppate in diverse categorie, incluse quelle istituzionali, e sono impiegate in modi differenti per rappresentare e individuare la qualità. Questi sviluppi rivelano una certa tendenza a far intrecciare la concezione di qualità del vino con quella di ambiente e, quest’ultima, con la concezione del contesto di produzione. Nel clima sociale, culturale e intergenerazionale attuale, la nuova posta in gioco della qualità sembra risiedere in questo intreccio, che dal punto di vista della produzione chiama in causa, al di là dell’eroismo, la bellezza di una certa dose di coraggio”.
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