La Russia? Un mercato perennemente in altalena, ma essenzialmente a proprio agio tra svalutazione del rublo e dinamiche socio economiche con cui fare i conti: oggi, dopo la crisi con l’Ucraina del 2014, e le successive sanzioni decise dall’Unione Europea, cui hanno fatto seguito le contro sanzioni di Mosca (anche all’agroalimentare comunitario), l’economia è tornata a crescere, così come i consumi, compresi, ovviamente, quelli di vino. Con l’Italia che si conferma al primo posto non solo da un punto di vista economico, ma anche nei cuori dei wine lovers russi, tra i consumatori più consapevoli al mondo, almeno fuori dal Belpaese, come raccontano gli imprenditori del Belpaese, a Mosca e San Pietroburgo per “Solo Italiano”, l’evento Iem che porta l’enologia italiana in Russia.
“”Io credo che il primo passo - racconta Sandro Boscaini, a capo della griffe dell’Amarone Masi Agricola - sia quello di riprendere le posizioni che avevamo prima del 2014, che erano ottime. Dobbiamo considerare che la Russia ama l’Italia ed il vino italiano, è innamorata dello stile italiano e delle sue bellezza, per cui credo che dopo la batosta che ci siamo presi, anche per le sanzioni sugli alimentari, che comunque hanno inciso sulla ristorazione italiana e quindi, di riflesso, sui nostri vini: speriamo possano essere ritirate al più presto, ma se non dovesse accadere penso che per il vino le cose continueranno ad andare bene. Oltre alle sanzioni, il crollo del valore del rublo è stato incredibile, anche se ormai metabolizzato, per cui resto positivo, specie per quanto vedo nei wine shop, dove il vino italiano va davvero bene”.
“Quello russo è un mercato molto importante, dove il vino italiano gode di un grosso rispetto - ricorda Beppe Pinna, export manager della sarda Argiolas - a partire dal Vermentino, non solo quello sardo. In Russia, però, è come vivere perennemente in Brexit: ogni 3-4 anni c’è qualche fenomeno socio-economico, o politico, che non sai cosa porterà. In questo momento, ad esempio, ci sono nuove normative che sicuramente non lasciano aperto il libero mercato, alcuni importatori vanno in sofferenza, altri crescono molto più di altri, per cui è un mercato che dobbiamo presidiare per capire come fare del nostro meglio. Come Sardegna, cerchiamo di farci rispettare, e a vent’anni dalla prima volta che venni in Russia direi che ci stiamo riuscendo: all’epoca non sapevano neanche pronunciare la parola Vermentino, oggi invece è nelle wine list dei migliori ristoranti, e questo ci rende orgogliosi”.
“Siamo in Russia da vent’anni esatti - sottolinea Giovanni Bocchino, export manager della Michele Chiarlo, realtà simbolo della viticoltura piemontese, che ha reso grande il Nizza - e dall’inizio siamo sempre stati in altalena, prima con il discorso legato alle fascette, quindi, più di recente, con il crollo del rublo. Sicuramente però il 2018 è stato un anno di crescita e rinnovamento, in un mercato ormai consolidato, dove alcuni prodotti sono conosciuti e molto ben rappresentati. Tendenza positiva anche per questo inizio di 2019, e speriamo che la situazione resti tale fino alla fine dell’anno. Per quanto riguarda le sanzioni, che comunque non hanno toccato il vino, c’è stata senza dubbio una certa influenza negativa sulla ristorazione italiana in questi ultimi anni, ma la Russia resta un Paese profondamente innamorato dell’Italia, e questo è un ottimo feedback per il mondo del vino”.
Chi in Russia ha da sempre uno dei suoi mercati d’elezione è l’Asti, che dopo il 2014 ha sofferto particolarmente la crisi dei consumi. Oggi, come racconta direttore del Consorzio dell’Asti Giorgio Bosticco, “l’obiettivo è quello non solo di tornare ai livelli pre crisi, quando l’economia cresceva a due cifre e grazie ai fondi Ocm arrivammo a quota 15 milioni di bottiglie, ma di puntare ai 20 milioni di bottiglie. È un mercato che apprezza l’Asti, ritenendolo un prodotto premium, con tanti consumatori giovani che approcciano il vino e più in generale il made in Italy. La crisi del rublo, in questo periodo, ha schiacciato i prezzi, portandoli, per quanto riguarda l’Asti, dai 15 ai 22 euro allo scaffale agli attuali 9-15 euro a bottiglia. L’inflazione e la crisi che ne è derivata hanno pesato molto su questo Paese, anche se i nostri problemi non nascono con il calo dei consumi o della richiesta, quanto con le difficoltà di rapporti con importatori e distributori che non riuscivano più a pagare le commesse”.
Assolutamente positiva, infine, l’analisi di Serena Fedel , export manager della griffe del Friuli Venezia Giulia Jermann, per cui “il 2019 è iniziato sotto i migliori presupposti, e siamo fiduciosi che l’anno andrà bene, anche grazie ad una produzione davvero eccezionale come la 2018. La nostra speranza è ben riposta anche in virtù della solidità del nostro partner locale, DP Trade, che negli anni ci ha permesso di crescere, e nonostante la flessione subita nel 2015 ci siamo rialzati subito, tornando a crescere in maniera costante”.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024