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San Lunardo, Guarnaccia e Cannamela: ecco i primi vini realizzati dal recupero di antiche varietà dell’Isola d’Ischia, in un progetto che coinvolge tutte le cantine isolane, il professor Luigi Moio, il giornalista Ian d’Agata e Giancarlo Carriero

Celebre per il suo mare e per le terme, l’Isola d’Ischia è terra di viticoltura antica, dalle origini millenarie: già sulla coppa di Nestore, ritrovata a Montevico (Lacco Ameno), compare un’iscrizione che inneggia al buon vino locale e testimonia che gli Eubei, antico popolo greco colonizzatore dell’isola, introdussero la coltivazione della vite. Che è stata alla base dell’economia isolana per lunghi periodi storici, condizionandone la vita e i costumi degli stessi abitanti. Un patrimonio storico fatto anche di vitigni antichi ed autoctoni, fino ad oggi dimenticati, ma ora al centro di un progetto di recupero che vede in campo tutte le cantine dell’Isola (Pietratorcia, Casa D’Ambra, Mazzella, Cenatiempo, Muratori - Giardini Arimei e Tommasone), il professor Luigi Moio dell’Università Federico II di Napoli, presidente della Commissione Enologia dell’Oiv (Organisation International de la Vign et du Vin) di Parigi e socio ordinario dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino, e il celebre giornalista e critico Ian D’Agata, con la regia di Giancarlo Carriero, proprietario de “L’Albergo della Regina Isabella di Ischia”, si pone da sempre l’obiettivo di valorizzare l’isola e le sue risorse.
Progetto grazie al quale sono stati individuati cinque vitigni che la cantine Antonio Mazzella si è poi occupata di vinificare in purezza attraverso un processo di microvinificazione, i cui primi risultati (tre vini dell’annata 2014, un bianco, il San Lunardo, un rosso, il Guarnaccia, e un rosato, il Cannamela) sono stati analizzati a Vinitaly. Vini giovani, timidi ma con grandi potenzialità, che potranno dimostrare il loro carattere, e sui quali il professor Luigi Moio è al lavoro per la stesura di un protocollo d’intesa con l’Università Federico II per studiare i vitigni da un punto di vista ampelografico, con l’obiettivo di capirne l’identità e la loro resa organolettica, permettere la clonazione di queste viti e poterle inserire nella banca dati dei vitigni autoctoni italiani, rendendoli così disponibili ai viticultori isolani.
Un progetto che mescola storia, archeologia, viticoltura, enologia e tanto coraggio: la difficile orografia del territorio, con appezzamenti di terreno dall’andamento collinare e scosceso, rendeva e rende i costi di produzione importanti, con un processo produttivo a Ischia che è ancora per gran parte manuale. Eppure, nonostante i costi, nella viticoltura sull’Isola c’è chi continua a credere e ad investire, con sfide e vini di grande fascino.

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