Pochi vini, in Italia e nel mondo, si possono definire fuoriclasse assoluti. Quelli che, facendo una metafora sportiva, sono in grado di cambiare una partita o, tornando al vino, di dare via ad un’epoca di crescita della reputazione non solo di quella singola etichetta, ma del suo territorio intero, se non di tutto il Paese. Tra questi, senza ombra di dubbio e didiscussione, rientra di diritto il Sassicaia, vino icona dell’Italia nel mondo, lampo di genio di Mario Incisa della Rocchetta, costruito in anni di sogni e ricerca, e con il contributo decisivo di Giacomo Tachis, in quella Tenuta San Guido ancora oggi guidata dalla famiglia, con Nicolò e Priscilla Incisa della Rocchetta e con il direttore Carlo Paoli, che, con l’annata 2018, rilasciata sul mercato Uk, riporta il Liv-Ex, segna l’arrivo della vendemmia n. 50 di questo grandissimo vino che, negli anni, è diventato anche una denominazione a se stante, Bolgheri Sassicaia, caso unico in Italia.
Vino tra i più amati e ricercati al mondo, tra i più quotati dalla critica italiane ed internazionale, entrato nel mito grazie ad annate mitiche come la 1985, che Robert Parker, il più influente critico di vino di tutti i tempi, a WineNews, ha definito “il vino che più mi è piaciuto in assoluto in 37 anni di carriera”, ma anche da annate più recenti, come la 2015, n. 1 nella “Top 100” di “Wine Spectator”, tra le classifiche più attese e seguite del mondo, o la 2016 giudicata da 100/100 dalla stessa “The Wine Advocate”, fondata da Parker, e la cui corrispondente dall’Italia è Monica Larner.
Dire che questo vino bolgherese è uno dei più luminosi e celebrati esempi delle potenzialità enologiche del nostro Paese può risultare ridondante, addirittura scontato. Con quest’etichetta, alla fine degli anni Sessanta del Novecento, gli Incisa della Rocchetta hanno inventato in un sol colpo un modo di pensare e di fare vino in Italia, un territorio (tanto che il legislatore ha dovuto cucirgli addosso una Doc, praticamente su misura) ed un termine di paragone con i grandi del pianeta per tutto il movimento vitivinicolo nazionale. La ricetta oggi sembra semplice, persino banale, ma se pensiamo a quei tempi non c’è niente di più rivoluzionario: sperimentazione di importanti varietà bordolesi (“del resto quelli erano i vini preferiti da mio padre Mario”, ama ricordare Nicolò Incisa della Rocchetta), uso di legni piccoli e poi la clamorosa degustazione del 1978 organizzata dalla rivista britannica Decanter che impone l’annata 1972 del Sassicaia (alla sua quarta uscita ufficiale) come il Cabernet più buono del mondo. Questi i primi passi per la costruzione del mito, che ha una forza tale da mantenere il suo appeal decisamente intatto, mettendo praticamente tutti d’accordo: dal semplice frequentatore occasionale del mondo del vino alla critica, passando per i super appassionati del settore.
Un vino “universale”, come pochi ce ne sono, e che celebra il traguardo delle 50 vendemmie sul mercato (mentre dal 1948 al 1967 fu prodotto per uso strettamente privato della famiglia, e fu bevuto solo nella Tenuta San Guido) non solo senza aver perso niente del proprio smalto e della sua portata innovativa, ma avendo acquisito quell’autorevolezza riconosciuta da tutti e quella costanza qualitativa negli anni che è prerogativa di pochissimi nel mondo.
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