Il consumo di vino nell’antica città di Troia si rivela essere un’attività sorprendentemente accessibile a tutti, non solo alle classi elevate: in uno studio pubblicato nell’edizione di aprile dell’American Journal of Archaeology, i ricercatori delle Università di Tubinga, Bonn e Jena svelano nuove prove che dimostrano che l’antica Troia era una città in cui il vino scorreva liberamente in tutti gli strati sociali, sfatando il mito che lo considerava un privilegio esclusivo dei nobili. Sono stati rinvenuti residui di vino in coppe in argilla risalenti a più di 4.000 anni fa. A differenza dell’immagine tradizionale che vedeva il vino riservato a celebrazioni religiose o banchetti d’élite, gli studi rivelano che esso accompagnava anche momenti di convivialità tra amici e familiari. Le coppe di argilla, trovate sia nella cittadella fortificata che nelle aree circostanti di Troia, sono una prova tangibile di una cultura del vino diffusa.
Le indagini archeologiche su Troia, avviate nel XIX secolo con l’archeologo Heinrich Schliemann, hanno portato alla luce il famoso “depas amphikypellon”, una coppa a due manici citata da Omero nell’Iliade. Inizialmente associata alle offerte rituali e ai banchetti elitari, nuove analisi biomolecolari condotte dall’Istituto di Preistoria, Storia Antica e Archeologia Medievale di Tubinga hanno identificato alte concentrazioni di acidi della frutta, specifici residui legati al vino, anche in recipienti comuni come tazze e bicchieri. Questi risultati sottolineano una pratica quotidiana del consumo di vino, che oltrepassava i confini sociali. “Questi recipienti contenevano anche vino. È evidente chefosse una bevanda quotidiana, anche per la gente comune”, afferma il coautore dello studi0, Stephan Blum, dell’Università di Tubinga.
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