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L’ANALISI

Se il Presìdio Slow Food salva il territorio, e ne migliora ambiente, economia e società

I primi dati su uno dei progetti più longevi, iconici e concreti di Slow Food, sotto i riflettori a Terra Madre Salone del Gusto, a Torino

I Presìdi Slow Food sono stati, e sono, la salvezza di prodotti quasi estinti, ma anche motori economici e culturali dei territori. E rappresentano il progetto più longevo e tra i più concreti di Slow Food. Nati tra il 1999 ed il 2000, ha ricordato a Terra Madre Salone del Gusto, a Torino, Serena Milano, direttrice Slow Food Italia, con meno di un centinaio “che abbiamo portato per la prima volta al Salone del Gusto del 2000”, oggi solo in Italia se ne contano poco meno di 400, e un primo monitoraggio delle performance di 33 dei primi Presìdi (la cui versione più estesa verrà presentata nella primavera 2025 ndr), dice che, grazie al lavoro congiunto dei produttori (oggi più di 2.000 quelli coinvolti, come spiegato a WineNews dalla presidente Slow Food Italia, Barbara Nappini, in questo video) e di Slow Food, tutti hanno migliorato le loro performance in termini ambientali, sociali ed economici. Un progetto oggi solido e di successo, ma visionario e non semplice, quando è nato: “i Presìdi sono comunità di persone, produttori, che lavorano per salvare dall’estinzione razze autoctone, vegetali, salumi, formaggi, e che però, nello stesso tempo, si prendono cura di ambiente, suolo, paesaggio, trasmissione di saperi. I prodotti sono quasi “una scusa” per salvare molto di più. Nel 1999 era difficile spiegarlo, anche la parola “Presìdio” era strana, era usata in ambito militare, sanitario, scolastico, non era semplice legarla ai cibi. Oggi la definizione di “Presìdio Slow Food è nella Treccani”, ha ricordato ancora Serena Milano.
Che ha voluto dedicare un pensiero a Piero Sardo, “che ha dedicato una buona parte della sua vita a questo progetto, e che non può essere qui in questi giorni. Nella sua prefazione all’Atlante dei Presìdi Slow Food, Sardo sostiene che il risultato più importante del progetto dei Presìdi è essere partiti più di 20 anni fa da situazioni difficili, marginali, e averle trasformate in realtà piene di speranza, a cui i giovani guardano con rinnovato interesse. Oggi i Presìdi testimoniano che un’agricoltura migliore è possibile”.
Era un progetto difficile, però, da far capire, ha detto ancora la Milano, sul palco con la moderazione di Eleonora Cozzella, direttrice responsabile de “Il Gusto” del gruppo Gedi. Ed era difficile trovare anche sostegno economico, che arrivò, però, da una realtà pionieristica del vino e del suo territorio, come Berlucchi, cantina “culla” della Franciacorta, come ha ricordato Cristina Ziliani, che con i fratelli Arturo e Paolo guida la cantina creata dal padre Franco Ziliani, insieme a Guido Berlucchi: “quando mio padre e Guido Berlucchi iniziarono il sogno Franciacorta, il territorio era ben diverso da quello di oggi, la viticoltura era stata abbandonata. Era il 1961, quando fu prodotta la prima bottiglia, in 3.000 esemplari, di questo percorso pazzesco che poi è diventato grande insieme a tante altre cantine che ci hanno creduto. Abbiamo iniziato quasi come fossimo stati un Presìdio noi stessi, e quindi quando è nato questo progetto ci abbiamo creduto subito. Lo scopo di una grande azienda è avere risultati economici, ma deve anche aiutare e sostenere idee e progetti, e ne siamo stati entusiasti”.
Un progetto che ha dato risultati concreti, come spiegato dalla professoressa Cristiana Peano, del Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali dell’Università di Torino:
“i primi 10 anni del progetto sono stati anni in cui ci si è confrontati con le comunità locali, anche a volte con pochissimi giovani, e pochi volevano rimanere in questi territori, o rimanerci, ma per fare un’agricoltura allora considerata più moderna e più redditizia. Il percorso è stato impervio, voleva dire non solo ripartire in molti casi dalle basi, ma anche stimolare un volano positivo verso le nuove generazioni. E anche accendere l’interesse e la curiosità dei consumatori per prodotti peculiari, in un momento in cui la standardizzazione dei prodotti era vista quasi come un valore. Dal 2012 abbiamo iniziato a monitorare le cose, valutando la sostenibilità e suddividendo 53 indicatori in 11 dimensioni (come uso del prodotto, relazioni interne, esterne, storia e cultura, biodiversità, suolo e acqua, difesa della coltura, energia, sviluppo, efficienza e così via) secondo le tre scale dello sviluppo sostenibile (socioculturale, ambientale ed economico). La cosa interessante che emerge - sottolinea Peano - è che il progetto dei Presìdi mantiene una forte valenza nella scala sociale, soprattutto. Ci sono anche Presìdi importanti dal punto di vista agroambientale, che hanno sviluppato grazie al loro progetto delle logiche di agroecologia (rotazioni, niente prodotti di sintesi, lavorazione del suolo superficiale), ma anche di miglioramento del benessere animale e della fase di trasformazione nei formaggi per esempio. Importanti i risultati anche dal punto di vista economico, non tanto nell’aumento di prezzo del prodotto, ma di come gli agricoltori si pongono nei confronti di chi acquista i prodotti, non solo nella vendita diretta, perché i prodotti sono presenti anche nei circuiti nazionali ed internazionali, dove potersi raccontare. Risultati incoraggianti, ma ancora dobbiamo lavorare per far crescere tutti gli altri Presìdi.
“È importante sottolineare il modo in cui facciamo questo lavoro, come ci relazioniamo con i produttori. Non è calato dall’alto, è vissuto affianco agli agricoltori, dall’inizio: allevatori, casari, pescatori, tutti coloro che si mettono in gioco per contribuire in maniera fattiva alla tutela della biodiversità e al rischio di estinzione di razze animali, specie vegetali e prodotti, che è fortissimo. È un progetto che chiama in causa il valore della comunità: il claim “We are Nature”, “noi siamo natura”, è esemplificativo, perché i problemi legati al cambiamento climatico riguardano tutti, in primis chi fa agricoltura e produce cibo, ma non solo”, ha concluso Francesco Sottile, docente di Arboricoltura e coltivazioni arboree del Dipartimento di Architettura dell’Università di Palermo, e membro del board di Slow Food Internazionale.

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