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SEMPRE PIÙ STRANIERI IN ITALIA: DAL 2001 AL 2011 SONO QUASTI TRIPLICATI, PASSANDO DA 1,3 A 3,7 MILIONI DI PERSONE. A DIRLO IL CENSIMENTO ISTAT. E L’AGRICOLTURA ED I SUOI TERRITORI SONO SEMPRE PIÙ LE CULLE DEL “MELTING POT” ALL’ITALIANA

Sempre più stranieri in Italia: dal 2001 al 2011 sono quasi triplicati, passando da 1,3 a 3,7 milioni di persone, con un’incidenza sul totale della popolazione (59,5 milioni) del 6,34% (sul 2,34% del 2001). Ecco uno dei dati salienti del censimento Istat 2011. Ma se l’Istituto di statistica sottolinea come “il forte aumento di cittadini stranieri contribuisce in maniera determinante all’incremento della popolazione totale, confermando la tendenziale staticità demografica della popolazione di cittadinanza italiana”, non ci si può dimenticare che gli immigrati sono uno dei motori dei quell’agricoltura che da vita a tante eccellenze (e a tanta economia del Belpaese). 1 lavoratore su 10, nel settore, è straniero, per un numero di occupati che diverse stime danno tra i 110.000 e i 170.000, con l’agricoltura italiana sempre più culla di un “melting pot” di etnie, culture e religioni sempre più integrate, soprattutto nei territori del vino: da Montalcino a Montefalco, da Barbaresco a Menfi, da Valdobbiadene a Cormons, da Erbusco ad Alghero, l’enologia del Belpaese prospera anche grazie al lavoro di migliaia di stranieri. Nei luoghi del vino più famosi d’Italia vivono e lavorano persone giunte da decine di nazioni diverse, e le città in cui nascono etichette esportate in tutto il mondo si scoprono modelli di integrazione razziale, come ha raccontato una ricerca di Città del Vino, l’associazione che riunisce i Comuni a più alta vocazione vitivinicola d’Italia, e di www.winenews.it. Nei principali distretti del vino italiani l’eccellenza del made in Italy vuol dire integrazione razziale, perché qui vivono persone provenienti da tutti i Continenti, che hanno deciso di trasferirvi le proprie vite, i propri affetti, i propri costumi e le proprie abitudini, per lavorare in tutte le professioni, tra chi lavora in vigna, chi fa il manager, la segretaria, il responsabile commerciale, l’enologo, chi gestisce un’attività di ristorazione o ricettiva e, naturalmente chi fa il vigneron. E’ così che, prima di tutto, attraverso il lavoro, gomito a gomito, avviene l’integrazione razziale. Per scoprire queste “isole felici”, le Città del Vino hanno raccolto le testimonianze relative ad alcune realtà del vino particolarmente significative, scoprendo che sono probabilmente le comunità di piccole e medie dimensioni a vantare una più riuscita integrazione tra italiani e cittadini in arrivo dal resto del mondo.

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