02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

Sette / Corriere Della Sera

Truffa D.O.C. ... Assalto al Made in Italy alimentare... Mozzarelle blu, bresaola uruguayana, savoiardi alla paraffina. I piatti nostrani si arricchiscono di falsi prodotti tipici e sostanze illecite. Un’agro-mafia che fattura 12,5 miliardi di euro... pronto in tavola: mozzarella blu, concentrato di pomodoro con scarti di fogliame, spaghetti “tipici” prodotti in Portogallo. Poi, 2.100 chili di bresaola della Valtellina confezionata con carne di manzo uruguayana, decongelata, avariata e con tanto di marchio Igp (Indicazione geografica protetta). Per dolce, savoiardi, amaretti e crumiri spalmati con un olio lubrificante (paraffino-naftemico) usato nell’industria delle plastiche e dei cosmetici; è la specialità di uno stabilimento del Torinese. Per bere non c’è che l’imbarazzo della scelta tra le migliaia di litri di vino sequestrato, adulterato o contraffatto, a seconda delle preferenze. Il menù delle frodi alimentari in Italia si è arricchito anche negli ultimi mesi, - ma bastano pochi esempi per far venire la nausea. Se si risale la cosiddetta “filiera”, cioè la storia del cibo che arriva nei nostri piatti, non torna l’appetito. In alcuni allevamenti della provincia di Caserta, per citare un esempio, alle bufale veniva somministrata la somatotropina, sostanza prodotta in Corea e vietata in Europa. È un ormone che favorisce la crescita e l’utilizzo negli allevamenti aveva due effetti: faceva aumentare sensibilmente la produzione del latte alle bufale e contribuiva, altrettanto sensibilmente, a riempire le casse della camorra casalese. È la prima volta nella storia che, pur di fare affari d’oro, si rischiano avvelenamenti di massa. In gioco però non c’è solo lo stomaco ma anche una delle risorse più preziose del nostro Paese: la cultura e il valore del mangiare bene. Di spaghetti, pizza e mandolino, rischia di rimanerci in mano solo il mandolino. Un mercato sempre più globale, con regole e controlli non omogenei, e una criminalità organizzata entrata con i piedi nel piatto del business agroalimentare stanno incrinando pilastri nazionali con danni devastanti, non solo d’immagine. Vacilla anche la passata di pomodoro: già un anno fa, nel Forum internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione che si è tenuto a Cernobbio, si denunciava come nel 2009 il 52,3% delle 161.215 tonnellate di pomodori importati in Italia, tra già preparati o conservati,
arrivavano dalla Cina. Il 98% di questa importazione è finita nella provincia di Salerno, dove aziende non proprio trasparenti possono poi averle rivendute come marchi di pregio. E perché nell’arco di un solo anno l’Italia ha importato 70.500 tonnellate divino, quasi tutto proveniente dagli Usa, e il 94,8% di questo fiume è finito nella provincia di Cuneo, patria del Baro- lo e del Barbaresco? Risposte certe non ci sono ma la curiosità è legittima visto che il 33% del “Made in Italy” agroalimentare è prodotto con merci importate e genera un volume di affari di 51 miliardi di euro. “L’elemento di novità” commenta Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente “è rappresentato dalla pesante infiltrazione delle mafie lungo tutta la filiera produttiva, a partire dai grandi centri e piattaforme di distribuzione ortofrutticola. Il business dell’agroalimentare è sempre più appetibile per la criminalità organizzata e l’industria della contraffazione. I numeri e le storie dell’agromafia dimostrano come questa battaglia per la legalità sia necessaria per tutelare la salute dei cittadini e per proteggere dalla lunga mano dei truffatori e della criminalità organizzata un comparto così importante, come è quello dell’agroalimentare italiano”. Secondo i dati presentati nel rapporto firmato da Eurispes e Coldiretti sulle “Agromafie”, la criminalità organizzata ha realizzato nel 2010 un giro di affari nel settore agroalimentare pari a 12,5 miliardi. Nel 2009, secondo una stima della Cia (Confederazione italiana agricoltura), erano “solo” 7,6. Oltre all’enorme danno, c’è anche l’enorme beffa: parte dei finanziamenti comunitari vanno a finire proprio a quelle aziende che operano non rispettando le regole: solo nel 2009 la Guardia di Finanza ha accertato l’indebita percezione di oltre 92 milioni di euro di finanziamenti per aiuti all’agricoltura. E quelli che arrivano dall’Unione europea, se non vengono restituiti dalla società fuorilegge, pesano per il 50% sul bilancio dello Stato italiano e per il 50% su quello comunitario. Il valore che l’Italia ha, e rischia di perdere, nel mercato mondiale, lo si capisce anche dai trucchi del mestiere che si usano pur di richiamare il gusto del Bel Paese: c’è il formaggio “Parmesan” con tricolore in bella evidenza sull’etichetta e venduto in tutto il mondo e il “Parmesau”, specifico per il mercato brasiliano, E ancora il “The original Pompeian Extra Virgin Olive Oil”, con tanto di tempietto archeologico di garanzia. E via così: dagli affettati ai vini, alle salse, fino ai finti Ferrero Rocher, dove il confine tra concorrenza e truffa non è una linea retta. Nella ricerca Eurispes-Coldiretti si dice che il giro d’affari mondiale dell’Italian Sounding (così si definisce questa pirateria alimentare che richiama marchi italiani) supera i 60 miliardi di euro (164 milioni di euro al giorno), cifra 2,6 volte superiore rispetto all’attuale valore delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari. In mezzo a questo traffico, dove regole e tutela della qualità non sono al primo posto, almeno un elemento positivo esiste, come riconosce anche Legambiente: l’Italia è uno dei Paesi dove si svolgono più controlli delle forze dell’ordine nel settore agroalimentare. Un anno e mezzo fa si era rischiato grosso con la semplificazione del “taglia-leggi” di Calderoli, che aveva messo a rischio quella n. 283 del 1962 sulla tutela degli alimenti, ma la Cassazione ci ha poi messo una pezza. E i sequestri effettuati dalle forze dell’ordine, nel 2010, sono aumentati del 40 per cento rispetto a quelli del 2009.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su