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Sette / Corriere Della Sera

Quel vino con la mappa che incarna la Mitteleuropa ... Un’antica carta geografica che descrive le colline friulane è l’etichetta di una casa che simboleggia l’anima del Nordest estremo. Il fondatore, a oltre 100 anni di età, “veglia” ancora sull’azienda... Le rappresentazioni su un piano del globo terrestre possono avere molti nomi: carte geografiche, mappe, portolani, piante, atlanti, planimetrie... Ma sempre potente è il fascino che esercita la loro evidente simbologia. C’è chi ha dedicato la propria esistenza al furto di quelle antiche, squartando volumi pregiatissimi nelle biblioteche di mezzo mondo: l’ha raccontato Miles Harvey in un libro del 2001, L’isola delle mappe perdute, Rizzoli. Ma la passione può imboccare vie diverse, inclinando a combinare con oggetti o idee di tutt’altro genere quelle proiezioni che appiattiscono mondi variegati, mossi, talora scoscesi e remoti, talora pieni di presenze umane. C’è appunto chi ha scelto proprio una mappa per fame l’etichetta dei propri vini raffinati. Una decisione che risale, ormai, a più di mezzo secolo fa. Compiuta da un signore che aveva buona dimestichezza con faccende legate a confini e territori conte- si fra diverse bandiere. Con quel Nordest estremo che è italiano, ma è anche legato alla storia della Serenissima, all’impero asburgico, alla Jugoslavia dopo la Seconda guerra mondiale e agli Stati balcanici con la fine del comunismo. Livio Felluga viene al mondo quasi centouno anni fa, a Isola d’Istria (insomma, è iscritto all’anagrafe dell’Impero austroungarico). L’origine del cognome è oscura. Forse proviene da “feluca”. Sarebbe in tono, visto che da queste parti non solo si è combattuto spesso e volentieri ma poi uno di famiglia sarebbe stato in campo in mare, anzi - nella battaglia di cui diversa gente dell’Alto Adriatico va ancora orgogliosa: quella di Lissa, nel 1866, quando, nelle mani sapienti dei marinai veneziani, istriani e triestini, la flotta asburgica le suonò duramente a quella che, da pochissimi anni, poteva dirsi italiana. E una famiglia di viticoltori: il nonno, in barca, porta il vino, refosco o malvasia, in terraferma, poi, a volte, arriva fino a Vienna, la capitale. Arriva la Prima guerra mondiale. Vienna non è più la capitale dei Felluga. I confini mutano. Poco dopo, la famiglia si sposta a Grado: si attenua il legame con l’Istria ma la posizione è molto più adatta per espandere il commercio. Appena quindicenne, poi, Livio viene mandato a vendere vino a Udine e in Carnia. Gli resterà nelle ossa, il Friuli, dove alla fine degli anni 30 si trasferisce, raggiunto dalla sorella Rita. A forza di cambiali acquista una piccola cantina. Un primo passo per mettersi in proprio, così ha anche diritto a disporre di una licenza come commerciante di vini. Il Friuli lo calpesta: ci cammina a lungo, impara a conoscere i terreni. Intuisce che li vino di collina può offrire delle belle sorprese. Studia i vigneti: Medana, Cosana, San Martin di Quisca, ma anche Rosazzo, dove c’è una storica abbazia e dove, dal XII secolo, i benedettini lavorano declivi coperti di vigne ti. Quest’ultimo, oggi, è un nome fondamentale nella geografia della produzione invio Felluga. Per ora, quella è una mappa dei desideri, ma può capitare che questi si avverino. Sembra di no, invece, quando scoppia la guerra. Livio deve tornare sotto le armi e tutti i grandi progetti sembrano evaporare. Eppure, con le mappe avrà a che fare sotto la divisa, perché è arruolato nel Genio guastatori e va in Africa a tracciare le piste per le nostre truppe. Almeno finché non finisce prigioniero, chiuso in un campo gelido delle Highlands scozzesi. Quando torna deve ripartire da zero. E di nuovo si mette in gioco completamente. Ora ha aggiustato il tiro, punta ancora più in alto: vuole diventare un vignaiolo. Lì, sul Collio. Anche se i tempi sembrano girare al contrario. Perché in quella zona è arrivato lo sviluppo industriale. Con una direzione precisa che approda presto alla nascita del “distretto della sedia”. Posto di lavoro sicuro, garanzie di pensione, non più alla mercé degli umori atmosferici: sono tanti i contadini che lasciano i campi ed entrano in fabbrica. Dal punto di vista agricolo, qui, sono anni bui. Invece, Livio il visionario va controcorrente. Quando tutti cominciano a valutare la terra poco o nulla, soprattutto l’abbandonano cercando un appartamento in città, comincia a comprarla: “A l’è matti”, si dice in giro di Livio. Una volta si presenta a un aristocratico possidente, propone di acquistargli un terreno, l’altro - forse in omaggio al blasone - si sente addirittura in dovere di disincentivarlo: “Felluga, ci pensi ancora un po’!”. Si può evocare di nuovo le mappe. Buona parte degli appezzamenti che Livio via via acquista - quelli dove oggi nascono i vini marcati col suo nome si possono ritrovare riportati con minuzia sulle carte studiate dai generali italiani e austroungarici all’inizio della Prima guerra mondiale. Lì attorno, fra il luglio e l’agosto 1915, si combatterono quelle che sono passate alla storia come prima e seconda battaglia dell’Isonzo. Ma torniamo alla metà degli anni Cinquanta. Nei vigneti di Livio ormai si può vendemmiare. Poi si dovrà vendere il vino. E prima, per commercializzarlo, dargli un nome. In questo campo, è forte li senso d’identità. Le etichette delle buone bottiglie, spesso, riportano un luogo, un territorio, una regione. Ha raccontato lui: “Era il 1956. Dovevo vendere il vino a Roma e a Milano. Mi domandai: ma lì sanno da dove viene? Così sono andato da un amico antiquario a Udine a comprare una carta geografica”. Scelse quella settecentesca di Delahaye, Partie méridionale du cercle d’Autriche, rielaborandola in fasi successive, dalla prima versione (dedicata a un Pinot) a oggi, talvolta dilatandola, talvolta restringendola a seconda dei territori da indicare. Il geografo Mauro Pascolini ha commentato la scelta e gli interventi successivi in 50 anni di carta geografica (un bel libro in onore di Livio curato da Elena Commessatti, Gaspari editore): “... Vediamo più da vicino questa carta geografica.... presenta degli aspetti inquietanti, misteriosi, speciali, quasi ci fosse stata una regia nel disseminare dei piccoli segni, dei piccoli indizi per condurre il viaggiatore curioso, ricostruendo un percorso a ritroso, a quel giorno in cui venne scelta da Livio Felluga, novello cartografo, la famosa etichetta...”. Sulle etichette Livio Felluga anzi, sulla “carta di Livio”, come la chiama Pascolini - si può, in effetti, fare un vero studio: notando l’uso di simboli insoliti, oppure il cartigio dove è inserito il nome del vino di un tipo poco frequente in cartografia, piuttosto simile alle cornici sugli altari. Minuzie, si dirà, rispetto all’opera più importante che va a merito di Livio Felluga: la salvaguardia, anzi la rivalutazione della viticoltura di collina. A cui, oggi, danno corpo i quattro figli: Elda (attenta a incrementare il turismo vinicolo), Maurizio (responsabile per il commercio), Andrea e Filippo (che curano direttamente la produzione). Dilatando la mappa, via via che i terreni coltivati secondo le idee di Livio Felluga (oggi i6o ettari per una decina di etichette) si estendono. Sempre attenti al vino di collina, tra il Collio, Colli Orientali del Friuli e Rosazzo. Non è una scoperta, intendiamoci, seminai una memoria attenta e amorevole del passato. Perché quei vini, da secoli, avevano raggiunto la fama. Descrivendo “la Patria del Friuli”, nella seconda metà del Cinquecento, Francesco Michel, Provveditore veneto di Terraferma, scriveva: “Ella è situata con un ampio piano, cinto intorno da parte di tramontana da tre ordini, di montagne: de le quali le prime sono colli, over monti amenissimi, fruttiferi dl biave et vini delicatissimi et perfetti...”.

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