I Greci hanno portato in Italia la viticoltura, ma non ci si è mai posta la domanda su come avrebbero fatto. Almeno fino ad ora: una ricerca dimostra esattamente il contrario e segue le tracce dei Greci e poi dei Romani nella penetrazione dei territori appenninici, a partire dall’Alta Val d’Agri, uno dei terminali delle esplorazioni greche e poi della colonizzazione romana dell’entroterra lucano, in Basilicata - che vanta 3.000 di storia enoica - dove al loro arrivo la viticoltura era già una pratica diffusa, ricostruita nel suo terroir (ambiente, uomo e varietà), alla ricerca proprio di quelle uve e di quei vini che poi portano con sé in madrepatria e di come la diffusione della vite lungo la Penisola, e poi in Francia, abbia percorso strade diverse da quelle che, sinora, abbiamo dato per certe. Proseguono in questa direzione gli studi su “L’Enotria, Grumentum e i vini dell’Alta Val d’Agri”, anticipati nel volume edito dall’Istituto Geografico Militare “Fra le montagne di Enotria. Forma antica del territorio e paesaggio viticolo in Alta Val d’Agri” dal curatore Stefano Del Lungo, archeologo, ricercatore Cnr Ispc e responsabile del gruppo di ricerca misto (Cnr, Crea e professionisti dei settori archeologico e archivistico), e che saranno illustrati, il 9 e il 10 giugno, nel convegno “Alla scoperta dell’Alta Val D’agri. Terra di origine di alcuni vitigni che crediamo essere arrivati in Italia dalla Grecia (e vi diremo perché non è così)”, promosso dal Consorzio dei vini della Doc Terre dell’Alta Val d’Agri, all’Hotel dell’Arpa a Viggiano.
Un invito a conoscere un territorio quasi sconosciuto della nostra Penisola, ma anche e soprattutto a scoprire le origini della vite, dei principali vitigni italiani e anche di qualche francese, in una vera e proprio “rivoluzione scientifica” sull’Enotria. E c’è voluto un team di tutto rispetto per raggiungere risultati così importanti, sfatando miti e certezze viticole, e dargli solidità in una ricerca che combina la genetica storica all’archeologia attraverso le scienze biologiche (il Dna delle varietà), agronomiche (le qualità ambientali e i caratteri ampelografici) e dell’Antichità (la topografia antica delle vallate fluviali, la biodiversità vegetale resa in terracotta e metallo, le cantine in grotta, la documentazione d’archivio a corredo): da Antonio Affuso, archeologo specializzato in Preistoria, a Vittorio Alba, Angelo Raffaele Caputo e Pasquale Cirigliano, ricercatori agronomi del Crea (Ve), da Teodora Cicchelli e Annarita Sannazzaro, archeologhe pecializzate sull’Età Classica, a Marica Gasparro, ricercatrice biologa del Crea (Ve), da Dorangela Graziano, laureata in Gestione e Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario, ad Agata Maggio, demoetnoantropologa e biblioteconoma del Cnr Ispc, da Francesco Mazzone, enologo del Crea (Ve), ad Addolorata Preite, archeologa, specializzata in Preistoria e Protostoria, a Sabino Roccotelli, perito agrario (viticoltura ed enologia) del Crea (Ve).
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