La raffigurazione di San Gimignano, con le sue torri e la sua Vernaccia, quella del Chianti, che poi diventerà il Chianti Classico, con il suo Gallo Nero, e ancora quella del Valdarno di Sopra, e quella di Cortona e Montepulciano, oggi terra di grandi Syrah la prima e di Vino Nobile la seconda, ma già nel Cinquecento celebri per la qualità dei loro vini. Storie raccontate da documenti e poesie, e dipinte in uno dei luoghi più belli di Firenze, il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, “riempito di vino” con tante opere, a firma soprattutto di quel maestro e letterato che fu il Vasari, testimonianze storiche e immortali del legame tra Firenze, la Toscana, il vino ed i suoi territori. Ed ora, a raccontarle al mondo, arriva anche una pubblicazione unica nel suo genere, “Storie del Vino in Palazzo Vecchio”, volume curato dai Musei Civici Fiorentini e da Mus.E, realizzato con il sostegno di “Business Strategies”, studio specializzato nella internazionalizzazione delle imprese guidato da Silvana Ballotta, firmato da Elisabetta Stumpo e Valentina Zucchi, con i contributi di storici come Massimo Montanari e Zeffiro Ciuffoletti.
Un volume (presentato, nei giorni scorsi, in Palazzo Vecchio, a Firenze), per raccontare il vino con gli occhi di Vasari, di Cosimo III dei Medici, di Bettino Ricasoli e non solo, perchè, come ha spiegato la stessa Silvana Ballotta, “seduti sulle spalle dei giganti del passato guardiamo al futuro”. E ripercorrere la storia del vino attraverso dipinti, fregi, decorazioni e statue che la raccontano, in Palazzo Vecchio, vuol dire “ripercorrere la storia dell’identità di questa terra, dove la bellezza delle opere d’arte si fonde con la tradizione vitivinicola, senza soluzione di continuità”, ha detto, a WineNews, il sindaco di Firenze, Dario Nardella. Che ha sottolineato come il vino, per Firenze e per i territori sia un valore unico per una delle città più visitate e ammirate del mondo. “Conosciamo tante città del vino nel mondo, pensiamo a Bordeaux o ad altre città italiane. Ma Firenze è davvero particolare, è l’unica che coniuga la storia secolare delle grandi famiglie di Firenze al vino. Ancora oggi se giriamo per Firenze ci imbattiamo in Palazzo Antinori, famiglia che da 26 generazioni “coltiva il vino”, 26 generazioni di vinattieri, come dice Piero Antinori. Poco più in là ci imbattiamo in Palazzo Strozzi, famiglia che ancora produce vino (in particolare la Vernaccia di San Gimignano, con la cantina Guicciardini Strozzi, ndr), e poi più avanti Palazzo Frescobaldi, e anche lì c’è la grande storia della famiglia dei Marchesi Frescobaldi. Il vino a Firenze non è solo storia, ma è contemporaneità, ed è l’unica città dove tu puoi trovare questa fusione di architettura, famiglie, imprese, e vino, è una storia unica, un viaggio, una magia, e molto spesso la forza di Firenze è quella di saper coniugare tutte queste cose”.
Sul palco del Salone dei Cinquecento, anche l’Assessore all’Agricoltura della Regione Toscana, Stefania Saccardi, che ha ricordato come “l’agricoltura, e specialmente la viticoltura, sono la chiave per la conservazione del territorio. Come in Toscana è storicamente da sempre, e come si evince dalle bellezze artistiche presenti in Palazzo Vecchio che testimoniano l’importanza della viticoltura in questa regione. Non si possono immaginare i territori senza coltivazioni. Nel momento del cambiamenti climatici, gli agricoltori sono le prime sentinelle per capire gli andamenti e cosa succede concretamente alla natura in questo periodo”. A personificare la storia, ed il legame tra presente e passato, è stato anche Francesco Ricasoli, alla guida della Barone Ricasoli e di quel Castello di Brolio raffigurato in Palazzo Vecchio, dove il suo avo, il Barone Bettino Ricasoli, primo Presidente del Consiglio dell’Italia Unita, inventò la “formula” originaria del Chianti. “Qui c’è la cultura del vino, c’è una formella che racconta il rapporto dei Medici con il contado, da Firenze fino alle porte di Siena, c’è un’opera che simboleggia il Chianti, che oggi è Chianti Classico, con il suo Gallo Nero. È la testimonianza del fortissimo legame che c’era con quel territorio, con le raffigurazioni di Castellina, Radda e Gaiole in Chianti, che è simboleggiata dal Castello di Brolio”.
A dare il suo contributo anche il produttore ed attore Gian Marco Tognazzi, che produce un vino “Toscazio”, come lo ha definito lui, mescolando uve di Toscana e Lazio, in quella cantina “molto eno e poco logica” che è La Tognazza, lascito del grande Ugo Tognazzi, e “che oggi è il mio primo lavoro, tanto che non prendo contratti da attore in periodo di vendemmia, che seguo personalmente”, ha detto l’attore, prima di raccontare proprio come intorno al tavolo della Tognazza, e tra brindisi e calici, sia nato un simbolo del cinema italiano come la “Supercazzola” di “Amici Miei”, capolavoro della commedia firmato da Mario Monicelli, e prima di declamare versi dedicati al vino, come quelli nella novella di Cisti Fornaio, contenuta nel Decamerone di Giovanni Boccaccio, dove il vino, e la cura nel servirlo agli ospiti, ed il suo valore conviviale e non solo, sono temi centrali.
D’altronde, come ricordato da Silvana Ballotta, “il vino è un’espressione fortemente culturale, per noi italiani, ma per tutti i popoli dell’area mediterranea. Ed opere come questa, legate a Firenze e ad una Toscana che è un sogno ad occhi aperti per gli stranieri di tutto il mondo, a partire da quell’Asia e da quella Cina dove fino a 20-30 anni mancava addirittura una parola per indicare il vino da uva, che è stata coniata ad hoc, ed è “Pútáojiǔ”, possono aiutare a raccontare il vino non solo di Toscana, ma d’Italia, in tutto il pianeta, legandolo a territorio, storia, cultura, design e moda, che sono patrimonio da salvaguardare e valorizzare”.
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