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Style / Corriere Della Sera

Finissimo perlage ... Brindisi speciali: Trento DOC... Per molti è il miglior spumante metodo classico italiano. La qualità rivaleggia con i francesi. Il segreto? I vigneti trasferiti in alto, dove le basse temperature garantiscono gusto ineguagliabile. Così sono arrivati i record: otto milioni di bottiglie vendute in Italia e all’estero. E così lo degustano i più raffinati... Il successo
delle bollicine si ottiene in alta quota. Lo pensano in molti, ma soltanto in Trentino, da qualche tempo, hanno cominciato a spostare i vigneti un po’ più in su, dove lo Chardonnay guadagna in acidità e qualità. Naturalmente bisogna disporre di montagne, ma questo non è un problema per la provincia di Trento, che non manca di vette dal lago di Garda sino alle Dolomiti. In casa Ferrari, Camilla e Mauro Lunelli hanno a cuore il continuo miglioramento della qualità delle loro cuvée. Lo impone il prestigio dovuto a colui che ha portato il metodo classico in Trentino: Giulio Ferrari. Fu per una sua intuizione che la tradizione francese approdò in quest’area. Era il 1902: il giovane diplomato della Regia scuola agraria di San Michele all’Adige, di ritorno da un viaggio nella Champagne si mise in testa di rubarne i segreti. E, perché no, di fare ancora meglio nella sua terra d’origine, coinvolgendo tutti i contadini della Valle dell’Adige.
Da qualche tempo, proprio nel rispetto della filosofia di quel padre storico che lanciò la scommessa, è nato il progetto TRENTODOC. “Un marchio voluto dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Camera di Commercio, ma anche dalle 26 aziende che abbiamo riunito” spiega Paolo Benati, uno dei responsabili. “L’obiettivo? Ribadire la nostra forza non soltanto come produttori di bottiglie, ma soprattutto come territorio”. TRENTODOC, il cui brand è comparso con evidenza sulle bottiglie formato magnum dell’ultimo Giro d’Italia, serve a suggellare un’identità collettiva, ma anche a ribadire la magia di un’area che fu la prima Denominazione di origine controllata degli spumanti metodo classico riconosciuta in Italia. E la seconda al mondo, dopo la Champagne.
“Nel 2007 Cantine Ferrari ha prodotto la gran parte delle bottiglie TRENTODOC: cinque milioni su un totale di 7,9” spiega Camilla Lunelli. “Oggi il 40 per cento della superficie vitata del Trentino è coltivata a Chardonnay. Se fosse tutta impiegata nel metodo classico, le bottiglie di bollicine potrebbero diventare 30 milioni”. Una cifra altissima, che la dice lunga sulle potenzialità
della zona. Ferrari produce la pluripremiata Riserva del Fondatore, una rara cuvée di solo Chardonnay affinata dieci anni, e altre collaudate etichette come Brut Perle e Maximum Brut. “E in cantina stiamo alzando il periodo di passaggio sui lieviti delle nostre bollicine” aggiunge Mauro Lunelli. Le eccellenze trentine non si fermano qui. C’è la Riserva Methius dei fratelli Dorigati; la Cuvée dell’Abate nero prodotta da una piccola azienda creata dall’enologo Luciano Lunelli; l’Altemasi Graal di Cavit. Una Riserva, quest’ultima, creata dalla Cooperativa trentina, colosso enologico da 70 milioni di bottiglie con un’ampia gamma di etichette. Giacinto Giacomini, direttore generale di Cavit, ne è convinto: “II Graal è il nostro fiore all’occhiello”. Poche bottiglie prodotte, 35 mila appena, e bollicine assemblate con uve Chardonnay e Pinot nero in percentuali uguali che hanno conquistato per ben cinque volte l’ambito riconoscimento “Tre bicchieri” del Gambero Rosso. “Questa è una zona che mi ha conquistato professionalmente” aggiunge Giacomini, “anche se devo ammettere che l’operazione TRENTODOC è partita in ritardo. Dovevamo svegliarci prima”. Ora la volontà di migliorare non manca: anche perché, se un tempo le bollicine si stappavano soltanto a Capodanno e nei momenti di festa, adesso la filosofia è consumarle a tutto pasto. In Trentino, come accennato, accanto a Pinot bianco e Pinot nero la parte del Icone la fa lo Chardonnay: 700 ettari coltivati in 58 comuni, le vigne sistemate su terreni di natura calcarea, ad altitudini che oscillano dai 200 agli 800 metri. Cuvée, tirage, remuage e dégorgement sono termini che vengono dalla Champagne, ma che in Val d’Adige si usano da un centinaio di anni. I canoni del metodo classico sono rigidi e impietosi per chi vuole raggiungere il top: il disciplinare prevede la permanenza per almeno 15 mesi sui lieviti di fermentazione per il Brut, e di 36 mesi per la Riserva. Ciononostante, l’elenco delle cantine è sempre più lungo. L’azienda di Nicola Balter sulla collina di Rovereto, ad esempio, produce bollitine dal finissimo perlage, con note di lievito di pane tostato e miele. C’è il grande lavoro che sta compiendo Cesarini Sforza con il Tridentum Brut Rosé, un 100 per cento Pinot nero dal gusto fruttato, realizzato con piccolissime partite provenienti dai vigneti della Valle di Cembra, a 500-650 metri di altitudine. E c’è Mezzacorona con il Rotari Brut Riserva, frutto di una sapiente
cuvée tra lo Chardonnay (90 per cento) e il Pinot Nero: i vigneti, concentrati sulle colline di Faedo e Pressano, producono circa 40 mila bottiglie l’anno. Piccole bollitine crescono, come nel caso del Mach Riserva del Fondatore creato in onore di Edmondo Mach (che nel lontano 1874 aprì l’Istituto agrario provinciale San Michele all’Adige), orgoglio di questa azienda ben curata dall’enologo Enrico Paternoster. E poi ci sono Lucia e Paolo Emilio Letrari, oggi produttori di una
Riserva lasciata maturare per quasi otto anni e dedicata al padre, Leonello. Stimoli e sogni mai appagati in questo viaggio che coinvolge anche Roberta e Antonio Stelzer del Maso Martis: il loro Brut ha conquistato, con la sua morbidezza, una vasta platea di giovani. Senza fare ricorso ai se e ai ma, la strada intrapresa da TRENTODOC pare insomma quella giusta. Conclude Paolo Benati: “Da qui in avanti la parola d’ordine è: vietato sbagliare”.

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